Corriere della Sera

La linea del premier: non c’è argomento contro il governo Fontana poteva agire

- (foto Cavicchi)

Giuseppe Conte rifarebbe tutto, l’ha detto molte volte e non ha cambiato idea. Anche sulla tempistica delle zone rosse il presidente del Consiglio non sembra avere ripensamen­ti, né lo preoccupan­o le indagini della Procura di Bergamo sulla mancata chiusura dei comuni di Nembro e Alzano Lombardo, colpiti in pieno dall’epidemia tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo.

Venerdì il governator­e della Lombardia, il leghista Attilio Fontana, è stato ascoltato come testimone e ha buttato sull’esecutivo gialloross­o la responsabi­lità delle mancate chiusure: «Era pacifico che la decisione spettasse al governo». E quasi le stesse parole ha usato il procurator­e aggiunto Maria Cristina Rota: «Da quel che ci risulta è una decisione del governo». I magistrati potrebbero sentire come testimoni i ministri Roberto Speranza e Luciana Lamorgese e lo stesso Conte. Dal suo staff spiegano che il presidente non ha ricevuto alcuna convocazio­ne e rimandano alla linea difensiva indicata dal ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia: «Anche la Regione poteva istituire la zona rossa, come previsto dall’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978 numero 833». Cioè la storica legge che ha dato vita al Servizio sanitario nazionale.

Il rimpallo di responsabi­lità tra governo locale e nazionale è destinato a continuare, con il suo inevitabil­e strascico polemico. La Lega dice di avere «i documenti che sbugiardan­o Conte e i suoi dossier anti-lombardia» e rimprovera Boccia, «che ha accusato la Lombardia di non aver voluto fare le zone rosse». Ma il ministro degli Affari regionali non replica e anzi assicura che «con il presidente Fontana c’è massima collaboraz­ione anche in queste ore».

Palazzo Chigi risponde con una lunga «Nota di chiariment­o». Tre pagine fitte in cui la presidenza del Consiglio ricostruis­ce la tempistica delle chiusure, per spiegare la scelta di aspettare qualche giorno e poi blindare l’intera Lombardia. Il 3 marzo entra in vigore il Dpcm di Conte, firmato due giorni prima, che prevedeva la zona rossa per dieci Comuni della Lombardia e un Comune veneto. La sera stessa il Comitato tecnico-scientific­o riceve i dati sulla corsa del virus ad Alzano e Nembro e propone «di adottare ulteriori misure restrittiv­e». Il 4 marzo il premier sospende le scuole, poi fa il punto con Speranza e gli esperti del Comitato. Il dilemma è: estendere la zona rossa ai due Comuni lombardi oppure, «in presenza di un contagio ormai diffuso in buona parte della Lombardia», chiudere l’intera Regione?

Il presidente dell’istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, il 5 marzo consiglia di chiudere Alzano e Nembro. Il 6 Conte va alla Protezione civile ed è lì che matura «l’orientamen­to di superare la distinzion­e tra zona rossa, zona arancione e resto del territorio nazionale in favore di una soluzione ben più rigorosa». Da una parte la Lombardia e le confinanti zone rosse, dall’altra il resto d’italia. Si arriva così alla notte del 7 marzo e al Dpcm dell’8, con il quale l’intera Lombardia diventa zona rossa. La nota di Palazzo Chigi rileva che la Regione il 21, 22 e 23 marzo ha adottato «varie ordinanze recanti misure ulteriorme­nte restrittiv­e» e prova a chiudere il caso: «Non vi è argomento da parte della Regione Lombardia per muovere contestazi­oni al governo nazionale». Insomma, Fontana «avrebbe potuto tranquilla­mente creare zone rosse in piena autonomia». Come hanno fatto Lazio, Basilicata e Calabria.

 ??  ?? Proteste Cittadini chiedono verità e giustizia fuori dall’ingresso dell’ospedale di Alzano Lombardo: sui tanti morti della Bergamasca è stata aperta un’inchiesta
Proteste Cittadini chiedono verità e giustizia fuori dall’ingresso dell’ospedale di Alzano Lombardo: sui tanti morti della Bergamasca è stata aperta un’inchiesta

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy