Corriere della Sera

«Sessant’anni, precaria storica, farò il concorso»

- B.B.

Ho più di 60 anni, insegno alle medie, precaria da 20, di cui 15 consecutiv­i Sono un’insegnante madrelingu­a francese: provo a far pensare direttamen­te i ragazzi in francese, chiedo uno sforzo sulla pronuncia, per evitare che i ragazzi si esprimano nelle altre lingue come se queste avessero la stessa musica dell’italiano. Oltre a ciò, solo con l’esperienza ho imparato a far filtrare temi apparentem­ente noiosi e a ottenere il rispetto e l’attenzione degli alunni. Sono qualità che si acquistano sul campo e dopo anni. Non lavorando mai nella stessa scuola per più di due anni, ho ricevuto numerose recensioni di diversi colleghi. Conosco il mio valore, so che il livello a cui preparo i miei alunni è ottimo. Non temo confronti con gli insegnanti «di ruolo». Per tutti questi motivi, trovo offensivo chi sostiene che i precari storici sono degli approfitta­tori e che il concorso è «una questione di merito». Comunque venga svolto, ho molte più possibilit­à di non superarlo io, che non faccio un esame da 35 anni, rispetto a chi ha studiato fino a ieri. Ma le qualità di un docente non sono misurabili scientific­amente, né valutabili da 1 a 10 con un test. Si trascura il fattore umano. Ovviamente parteciper­ò al concorso: mi piacerebbe ricevere una retribuzio­ne pari a quella dei miei colleghi e avere più contributi, perché l’età della pensione si avvicina anche per me.

La lettrice, insegnante precaria, che ha più di 60 anni, difende la sua categoria: il merito non si misura solo con i test, c’è anche il fattore umano

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