«Milano-napoli oltre la paura»
Caduti gli ultimi divieti di varcare i confini tra regioni ieri il Paese si è rimesso timidamente in moto Nelle stazioni controlli e scanner, ma nessun caos Da Nord a Sud sul Frecciarossa Mascherine, lacrime e speranze «La paura è andata via, ma ci manca
Un viaggio da Nord a Sud. Sul Frecciarossa. Caduti gli ultimi divieti di spostamento tra regioni, ieri il Paese si è rimesso timidamente in moto. Nelle stazioni controlli e scanner, mascherine, lacrime e speranze. «La paura è andata via, ora manca tutto il resto».
Francesca C. Non ne potevo più di lavorare a casa in pigiama e ciabatte a forma di elefante. Ma non è solo questione di lavoro: se non ti muovi non puoi chiamarla vita Sara Mariani Troppa angoscia e paura, l’importante era tornare dai miei genitori poi cercherò un lavoro, magari mi metto a fare mascherine. Siamo tutti sulla stessa barca
Franco Serra L’ultimo contratto a Giacarta, ora invece vado a Zola Predosa Lo vede che è impossibile aprire un poco per volta Ormai siamo connessi e globalizzati
Anche la corsa a perdifiato sulla grande scalinata è di nuovo con noi. «Guardi che se suda sale la temperatura e poi non parte» dice l’uomo con la pistola, che poi sarebbe il termo scanner, ormai l’unico diaframma che separa i viaggiatori dal ritorno a partenze infine normali, come si faceva nella vita di prima, tre mesi e qualche giorno fa.
È solo un attimo che prolunga quello dell’accesso al binario. Niente più code, niente più controlli, autocertificazioni, domande su eventuali congiunti e affetti assortiti. Mattina umida, serrande dei negozi dentro la Stazione centrale ancora abbassate. Qualcuno lancia uno sguardo alle volte metalliche, che piacere ritrovarci, qualcun altro fa domande sul percorso alquanto tortuoso per raggiungere i treni.
Si sale a bordo
Ma nel giro di dieci minuti, tutti a bordo, Frecciarossa 9515 delle 7.10. «Quello che mi faceva incontrare un cliente alle 9 a Bologna e un altro a Firenze per mezzogiorno e mezza» dice parlandone come se fosse un amico ritrovato Marco Farina, milanese cento per cento, rappresentante di commercio, ramo integratori alimentari, centri fitness e palestre come clienti, una conoscenza del settore certificata anche dai bicipiti e dalla complessione lituana. «Questa primavera mi ha ucciso, il nostro ramo d’impresa è il più penalizzato insieme al
turismo. Zero fatturato, partita Iva che piange. Dai, partiamo veloci che adesso ci si tira su».
Bentornati, milanesi viaggianti. All’inizio non ve lo dirà nessuno, anzi ve lo faranno pesare, il vostro nomadismo, ma siete mancati, non soltanto al Pil. Chissà, magari queste righe sono dettate anche dal sentimentalismo, da quelle notti con le sirene delle ambulanze in sottofondo, dall’essere reduce, come tutti. E però che bello, quando l’altoparlante dice di fare attenzione, «i treni ad alta velocità potranno subire dei ritardi fino a dieci minuti in seguito ai lavori di manutenzione straordinaria...» sentire che nella carrozza 5 ancora ferma si levano quello sbuffo collettivo di insofferenza, quei mugugni, «eh alta velocità un c...», vedere quelle espressioni già contrariate, anche se il giorno non è ancora cominciato. «Cerchi di capire» spiega Francesca C., professione manager delle telecomunicazioni, tacco e tailleur nero portato con gioia, «non ne potevo più di lavorare a casa in pigiama e ciabatte di peluche a forma di elefante», che ha appena finito di fissare un appuntamento a Roma in piazza Navona. «Li ho letti, i filosofi che spiegano come ogni cosa cambierà. E posso anche essere d’accordo. Ma non è una questione di lavoro. Se non ti puoi muovere, se non puoi partire, allora non chiamarla vita».
«O tutti o nessuno»
Il treno del liberi tutti andrebbe raccontato con immagini forti. Ma non c’è nulla di eccezionale in questo ritorno a una normalità che verrà distillata giorno per giorno, oggi un incremento delle presenze in stazione del venti per cento secondo la Polizia ferroviaria, comunque nessun assalto, nessun pienone.
Neppure i posti a scacchiera che limitano la capienza, tutto pieno con 250 passeggeri su 600, attutiscono il brusìo delle voci che si sovrappongono, l’appuntamento, il fornitore che deve essere pagato, la banca che non concede il fido, un rumore di fondo continuo che questa volta mette allegria. Neppure l’annuncio ossessivo, in carrozza e in banchina, che invita a «evitare assembramenti», toglie qualcosa a scene altrimenti normali, che oggi comunicano una sensazione di energia. Nel labirinto della stazione di Bologna, ad aspettare l’apertura dello sportello insieme al tonico Farina, «Ma cosa prende appunti, scriva solo che avevamo voglia di rimetterci in moto», c’è anche l’ingegner Franco Serra, dirigente di una azienda brianzola che installa impianti elettrici in tutto il mondo. «Ultimo lavoro, Giacarta, a momenti rischio di rimanerci per i tre mesi di lockdown. Adesso vado nella zona industriale di Zola Predosa che dobbiamo chiudere un contratto. Lo vede, che è impossibile aprire un poco per volta? Ormai siamo connessi e globalizzati, o tutti o nessuno».
Firenze, una speranza
L’ingresso a Firenze Santa Maria Novella è un segno di speranza, da qualunque parte lo si osservi. Le sedici pensiline della stazione sono affollate, c’è gente che va e viene. E dentro al treno, ci sono gli Champaud al completo, padre, madre, due adolescenti gemelle, ognuno con lo zaino sulla spalla, che attende di uscire. Sono arrivati in Italia venerdì scorso, con un lungo giro di treni cominciato nella loro Lio
ne. «Il telelavoro e la scuola a distanza ti permettono di essere ovunque» ammicca papà Raphael. «Tanto vale approfittarne». Trenitalia fa ripetere di continuo che le mascherine sono obbligatorie durante tutto il viaggio e «devono anche essere indossate correttamente». Ma appena il controllore esce dal vagone, si assiste spesso a esercitazioni individuali di libero arbitrio.
«Ho pianto per giorni»
La prossima tappa è Roma, non solo per la famiglia francese in vacanza. Il treno si svuota.
Al di sopra di una mascherina con doppia stoffa ricavata da una vecchia maglietta dei Nirvana, Sara Mariani ha occhi che sembrano allegri e malinconici al tempo stesso. Lavorava a Milano in un ristorante del centro, che le ha già detto di non tornare più. Ha già disdetto l’affitto del suo monolocale in zona Baggio. Non vedeva i suoi genitori da quattro mesi, ed entrambi si erano ammalati.
«Hanno appena avuto il tampone negativo. Quando ho saputo che aprivano tra le regioni, ho subito prenotato il biglietto. Troppa angoscia, troppa paura. Ho pianto per giorni interi. L’importante ora è tornare da loro. Poi, cercherò lavoro, uno qualunque. Magari mi metto proprio a fare mascherine. Non mi fascio la testa. Siamo tutti sulla stessa barca, si dice così no?». Neppure il tempo di rispondere che si mette a correre verso l’uscita di via Marsala, dove l’attende l’auto di suo fratello. Felice, finalmente.
Se spunta il sole
Napoli centrale e il sole che torna a splendere sono un capolinea che non dispensa illusioni. Deborah e Paolo, marito e moglie, titolari di una agenzia di viaggi a Bologna, sono in visita agli alberghi della costiera amalfitana. «Non ce la facciamo a riprenderci. Poche prenotazioni, l’estero è finito, l’italia ancora non si sblocca. Ci devono aiutare, dobbiamo darci una mano tra di noi». Nel treno, abbandonate sul sedile, restano decine di mascherine e i kit anti coronavirus di Trenitalia, ancora intatti. Gli ultimi passeggeri scendono a volto scoperto. Sulla banchina ci sono molti baci e abbracci. La paura non c’è più. Manca tutto il resto.