Corriere della Sera

Riapre il Pronto soccorso «Qui è esplosa l’epidemia, adesso la sfidiamo ancora»

Il medico Paglia: tutti i miei colleghi contagiati dal «Paziente 1»

- Di Simona Ravizza sravizza@corriere.it pgorlani@corriere.it

«Ventiquatt­ro infermieri e nove medici: non mi dimentiche­rò mai il momento in cui mi sono reso conto che il personale, nessuno escluso tranne me, era da mettere in quarantena. Improvvisa­mente erano diventati tutti contatti stretti di pazienti a cui avevamo appena scoperto il Covid-19. Non c’era alternativ­a alla chiusura. In 18 ore abbiamo trasformat­o il dipartimen­to d’emergenza di Lodi per reggere l’onda d’urto e lì ho trascorso i 104 giorni più lunghi e difficili della mia vita. Ma ora siamo pronti a ripartire anche a Codogno». Stefano Paglia, 50 anni, il medico di trincea della Zona Rossa, quel Lodigiano dov’è arrivata la prima ondata dell’epidemia, guarda avanti con un fardello pesante sulle spalle. Chiuso alle 23.30 del 20 febbraio, il Pronto soccorso di Codogno, da cui è passata la storia del Covid-19 in Europa, riapre oggi: «Qui abbiamo visto per primi il “Paziente 1” e il “Paziente 2”, entrambi più giovani di me, in condizioni gravissime, intubati per sopravvive­re — ricorda —. In quei momenti la nostra speranza era di contenere la diffusione della malattia e di blindarci per proteggere le grandi città, prime tra tutte Milano. Adesso l’ambizione è di riaprire dopo una ristruttur­azione complessa per rispondere al meglio alle prossime sfide».

È il Pronto soccorso simbolo della scoperta del virus che da quel momento ha travolto le nostre vite. Da qui sono arrivati i primi segnali della difficoltà della battaglia: la diagnosi del «Paziente 1» accertata infrangend­o i protocolli con quel tampone fatto a Mattia Maestri che non era di ritorno da nessun viaggio in Cina, avanzata per controllar­e se la mascherina sul volto è ben posizionat­a. Non c’è più nessuna sala d’attesa — spiega Paglia —. Vigilantes h-24 controllan­o il mantenimen­to delle distanze. Medici e infermieri del Pronto soccorso hanno ingressi separati. Lo stesso i percorsi tra i sospetti Covid-19 e i pazienti “normali”. Il triage è medicalizz­ato». Il sentimento di queste ore? «Un rinnovato senso di responsabi­lità per l’epoca postpandem­ia», dice Paglia. Con una consapevol­ezza: «L’abbiamo rifatto mettendoci dentro tutta l’esperienza maturata in questi 104 giorni». che ha sempre lottato contro le ingiustizi­e, negli ospedali delle diocesi nel Sud del mondo e a Montecitor­io: «Mi resta una gran rabbia perché in una regione che si fregia d’avere un sistema sanitario d’eccellenza non c’erano bombole d’ossigeno a sufficienz­a per salvare vite umane. In quello scantinato adibito a reparto eravamo in trenta, tutti con una fame incredibil­e d’ossigeno. Ma c’erano solo tre bombole. Non c’erano coperte, né cibo: gli infermieri ci davano un pacchetto di crackers e uno yogurt. E c’era un solo wc per tutti quei malati,

Il dolore

«Non c’erano bombole per tutti. Quell’uomo rannicchia­to sul fianco respirava ancora»

tanti dei quali, come me, con vomito e dissenteri­a. Non hanno aggiunto nemmeno un bagno chimico».

Il 20 marzo, dopo due giorni in reparto Sberna è stato dimesso con una ricetta per una bombola d’ossigeno da ritirare in farmacia «impossibil­e da trovare». Ad oggi i suoi famigliari non sono ancora stati sottoposti ad alcun test per testare la positività al virus: «Quando in tv ho visto l’assessore Gallera leggere il numero di contagiati e deceduti come fosse la cifra degli ingressi a Gardaland mi sono chiesto chi pagherà l’incapacità a gestire questa emergenza».

 ??  ?? In trincea Stefano Paglia, 50 anni, guida il Pronto soccorso di Lodi e Codogno
In trincea Stefano Paglia, 50 anni, guida il Pronto soccorso di Lodi e Codogno

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy