Una strategia a tappe per poi dire sì al Mes
La strategia «a tappe» per poi dire sì al Mes Franceschini, Guerini e Gualtieri irritati: non può usare il tesoretto Ue come scudo personale
Il Mes si farà ma per ora non si dice. E se Conte tergiversa non è per motivi di politica interna, per i maldipancia dei grillini, ma per ragioni tattiche legate alla trattativa europea sul Recovery Fund. Il premier vuole evitare che un suo annuncio possa venire sfruttato dai Paesi «frugali» per un gioco al ribasso sulle risorse che sono state proposte dalla Commissione.
Ecco il segreto di Pulcinella che accompagna le conversazioni di governo e che aleggia nei colloqui di Conte con i partner europei, ai quali il premier chiede di «sostenere senza cedimenti» il piano presentato dalla von der Leyen. E quando argomenta la sua posizione, avvisando che «non si può delegittimare il lavoro di Ursula», tutti capiscono che il suo obiettivo prioritario è non veder ridotte le risorse. Ché di aumentarle ovviamente non se ne parla. Ma sommando Mes, Sure, l’impegno della Bce a sostegno dei titoli di Stato e un nuovo scostamento di bilancio da chiedere al Parlamento, Conte si ritiene soddisfatto e immagina che il gruzzolo possa garantirgli la permanenza a Palazzo Chigi anche quando arriverà la bufera d’autunno: «Sarò ancora il garante della sicurezza sanitaria e della stabilità economica».
Solo che l’idea di sfruttare il tesoretto come scudo personale ha provocato la reazione dei partiti di maggioranza. Le parolacce pronunciate dall’intero stato maggiore del Pd quando il premier ha annunciato (senza avvisare) la convocazione degli Stati generali dell’economia, sono irriferibili. Il senso del dissenso è stato però riassunto in Consiglio dei ministri dagli interventi in sequenza di Franceschini, Guerini e Gualtieri, che — al contrario degli altri due colleghi abituati a nuotare tra i piranha — non è riuscito a celare l’irritazione per essere stato scavalcato nel suo ruolo.
È affrontando il problema del «metodo», che a Conte è stato trasmesso un messaggio «politico»: se crede di poter ballare da solo per assenza di alternative, commette un clamoroso errore di presunzione, perché il suo ruolo è garantito dalla fiducia che gli viene conferita. È così che va tradotta la richiesta del capodelegazione Pd e del ministro della Difesa di una «gestione collegiale». Un pizzino dev’essere stato sufficiente, visto che stavolta anche a Zingaretti erano saltati i venerdì. Assente per incarichi d’ufficio, Di Maio non si è potuto godere lo spettacolo del premier al quale veniva impartita una breve lezione di «strategia».
Perché i tatticismi, in questa congiuntura drammatica per il Paese, non sono ammessi. Il «piano di Rinascita» — che solo a nominarlo a Franceschini viene l’orticaria per ciò che gli evoca — non può ridursi nella fastosa celebrazione di un evento, «non si possono invitare le parti sociali a villa Pamphili per mostrare loro i giardini». Perché tre giorni per preparare l’evento sono «insufficienti», bastano forse per organizzare il catering: «Ma se il governo si presenta senza un reale progetto di rilancio dell’italia, Bonomi ci sbrana». Il presidente di Confindustria già si è presentato, e non c’è dubbio che sfrutterebbe l’occasione. A quel punto Conte non potrebbe neppure chiedere il soccorso del leader della Cgil, «perché nemmeno Landini ci potrebbe difendere».
Così l’evento mediatico si
A Villa Pamphili «Non possiamo portare le parti sociali a Villa Pamphili a guardare il giardino»
rivelerebbe un boomerang, e il Pd non vuole pagare il conto delle tartine. Neppure derubricare l’evento a «occasione di ascolto», come ha provato a dire il premier, sarebbe utile: «Ma per parlare di cosa — è stata la replica — se non abbiamo ancora definito gli strumenti che utilizzeremo?». Il pressappochismo non si addice a una gestione di governo. E siccome la mole di risorse che sarà investita «impegnerà il Paese per gli anni a venire», serve un metodo: «Stabilire collegialmente gli interventi del disegno strategico; identificare i punti sui quali costruire un rapporto con le parti sociali; condividere il processo con le forze di maggioranza; coinvolgere nel progetto le forze di opposizione». Perché al Quirinale sono stanchi di ricevere telefonate dai leader del centrodestra che votano gli scostamenti di bilancio in Parlamento e poi nemmeno sono consultati da palazzo Chigi. No, per il Pd non è (più) tempo di party. E Conte non pensi di ballare da solo. Potrebbe incespicare.