Il virus, i numeri e i negazionisti
Nella sola Lombardia il Covid ha causato più decessi dell’epidemia del 2014 in Guinea, Liberia e Sierra Leone Il peso dell’età media, che nel nostro Paese è alta
I morti di coronavirus in tutta l’africa, che viaggia verso un miliardo e 400 milioni di abitanti, sono saliti ieri, stando al contatore della John Hopkins University, a 4.763. Meno di un terzo di quanti sono stati registrati finora nella sola Lombardia.
La quale ha avuto da febbraio in qua molti più decessi anche di quanti registrati nel 2014 nei tre Paesi africani sconvolti dalla spaventosa epidemia di Ebola.
Dovrebbero bastare questi pochi dati per spazzare via il ritorno delle teorie negazioniste sui presunti «allarmi esagerati» per l’ondata di Covid19 «un po’ più grave di una normale influenza». Certo, i dati diffusi quotidianamente sulla pandemia nel mondo vanno presi con le pinze. Se fatichiamo a prendere per buoni i numeri che arrivano dalla Cina dopo esserci sentiti tutti imbrogliati dai ritardi con cui Pechino ha segnalato il problema al resto del pianeta, figurarsi se possiamo fidarci di quelli che arrivano dal Continente nero, dove ancora pochi anni fa Manto Tshabalala-msimang, allora ministro della Salute di uno dei Paesi più avanzati, il Sudafrica (dove pure era stato fatto il primo trapianto di cuore), raccomandava contro l’aids non i farmaci antivirali ma «cibi come aglio, limone, patate africane e barbabietola». Follie.
La sproporzione fra i numeri altissimi delle vittime italiane e soprattutto lombarde del coronavirus e quelli relativamente bassi del Continente nero, dove a fine maggio la Commissione economica per l’africa delle Nazioni Unite (Uneca) ipotizzava che il coronavirus «potrebbe colpire pesantemente i diversi Paesi dell’africa e costare la vita a moltissimi africani, tra 300.000 e 3.300.000, a seconda delle misure adottate per fermare la sua diffusione», deve però far riflettere.
Tanto più che l’africa intera, come denuncia l’oms, «sta affrontando una terribile carenza di letti e ventilatori per la terapia intensiva». Con un totale di 5.000 posti letto nelle unità di terapia intensiva nei 43 Paesi subsahariani (quelli arabi della fascia nord sono contati a parte) del Continente nero: «Si tratta di circa 5 posti letto per ogni milione di persone contro i 4.000 posti per un milione di persone in Europa». Per non dire dei medici: uno ogni 250 mila in Africa, mille volte di più, a dispetto delle carenze viste in questi mesi, da noi.
Tema: come mai questa abissale differenza tra alcune grandi aree del mondo? Come è possibile che un virus come l’ebola, il cui solo nome evoca l’apocalisse a causa di un tasso di mortalità arrivato tra il 2014 e il 2016 in Guinea a un pauroso 67%, abbia ucciso in quel biennio 2.543 nella stessa Guinea, 4.809 in Liberia e 3.956 nella Sierra Leone per un totale di 11.308 persone e cioè un terzo di quelle morte per il Covid-19 in Italia e circa cinquemila meno che in Lombardia?
Le risposte, par di capire, dividono gli stessi scienziati e i massimi esperti del Continente nero. Basti ricordare come lo stesso medico vicentino Giovanni Putoto, che per il Cuamm ha passato anni e anni in vari Paesi africani (dal Ruanda della guerra civile alla Sierra Leone sconvolta dall’ebola, oggi in preoccupante ripresa) si precipitò ai primi di aprile ad Addis Abeba con una convinzione: «Se scoppia il coronavirus in Africa sarà un’ecatombe». Pur di essere prima possibile sul posto per dare una mano ai Medici con l’africa, partì da solo. Unico passeggero in tutto il Boeing. E accettò di restare 14 giorni in quarantena in un hotel etiope prima di poter visitare gli ospedali dell’organizzazione. Non è esplosa, l’ecatombe. Al punto che successivamente il medico è tornato in Italia. Convinto che il disastro sia stato evitato finora (finora...) grazie alla severità di vari governi decisi a imporre il lockdown. Al clima. Ma più ancora al peso forse determinante, e di certo superiore al previsto anche nel caso del coronavirus, dell’età media degli africani rispetto a quella degli europei.
Pochi numeri dicono tutto. Se l’italia ha un’età media di circa 44 anni (anzi: quasi un quarto della popolazione ne ha più di 65) la situazione in Africa è radicalmente rovesciata: intorno ai 19. E se la Tunisia è il Paese più «vecchio» con un’età media di 31,4 anni (seguita dal Marocco con 28,1 e dalla Libia con 27,5), i Paesi dell’africa nera sono attestati su numeri per noi strabilianti. Hanno in media 18,2 anni i nigeriani,
Il confronto
L’europa è più a rischio Anche se ha mille volte più medici per abitante di quei Paesi
17,9 gli angolani e i congolesi, 17 i burkinabé, 16 i maliani, 15,5 gli ugandesi, 15 anni e un mese gli abitanti del Niger, che hanno pure una fecondità stratosferica: sette nascite per ogni donna. Va da sé che, se il Covid-19 colpisce soprattutto gli anziani...
Sia come sia, gli europei e in particolare gli italiani devono prenderne atto: al di là degli studi degli scienziati e delle ricerche nei laboratori per arrivare al più presto a un vaccino, i grandi numeri dicono che noi siamo più a rischio. E la storia ci impone di guardare in faccia questa realtà. Spendendo tutte le nostre energie per cambiare questo nostro Paese. E restituire ai giovani, invece che nuovi debiti sul futuro, uno spazio che da anni viene loro negato. Infilare la testa sotto la sabbia, lanciando tutto intorno fulmini e saette, non serve a nulla.