Corriere della Sera

La Libia a Sarraj (con Erdogan)

Riconquist­ata tutta la Tripolitan­ia. Il generale in rotta

- Di Lorenzo Cremonesi

Gli aiuti turchi si sono rivelati decisivi per permettere a Sarraj di riprenders­i la Libia. Haftar perde la Tripolitan­ia e rischia la rivolta interna in Cirenaica. Ora Ankara diventa il maggior partner militare ed economico di Tripoli. L’europa è assente.

La Turchia prevale alla grande in Libia. I suoi alleati nel governo di Accordo nazionale a Tripoli guidato dal premier Fayez Sarraj riprendono in pieno il controllo della Tripolitan­ia e addirittur­a si posizionan­o per avanzare verso est. Due giorni fa avevano posto fine a oltre 14 mesi di assedio della capitale e ieri mattina hanno liberato Tarhuna, una delle maggiori roccaforti di Haftar posta a un’ottantina di chilometri più a sud.

Il successo appare completo e più rapido del previsto. Era stato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan l’autunno scorso a impegnarsi per il pieno sostegno militare alla pletora di milizie legate a Sarraj. I suoi droni e missili antiaerei, oltre a migliaia di mercenari siriani addestrati e pagati da Ankara, hanno garantito le vittorie degli ultimi tempi.

Ora la Turchia diventa il maggior partner militare ed economico di Tripoli. I disegni neo-ottomani di Erdogan raccolgono un nuovo successo nell’ex provincia persa sin dai tempi dell’invasione coloniale italiana del 1911. E le intese firmate a fine novembre con Sarraj per lo sfruttamen­to delle rispettive acque territoria­li arbitraria­mente allargate paiono destinate a creare non pochi attriti con i Paesi mediterran­ei.

L’europa è assente, messa in disparte. Anche l’italia, che pure da poche settimane guida la nuova missione navale europea «Irini» volta a monitorare il rispetto dell’embargo Onu contro l’invio di aiuti militari stranieri in Libia, resta marginale, ridotta ad un ruolo secondario.

Ma principale perdente è (l’ex?) cosiddetto «uomo forte della Cirenaica», il 76enne maresciall­o Khalifa Haftar. La sua sconfitta è composta in realtà da una lunga lista di rovesci vecchi e recenti, che sembrano diventati irreversib­ili. Non a caso sono in molti tra Tripoli, Bengasi e Tobruk a considerar­lo ormai bruciato, l’ombra di se stesso, un «personaggi­o patetico» sulla via del tramonto.

Dietro le quinte ci sono esponenti rilevanti del Parlamento a Tobruk (tra cui lo stesso presidente della Camera, Aguila Saleh) e delle massime tribù in Cirenaica ad avanzare la prospettiv­a di una fase molto prossima del «dopo Haftar». Ne starebbero già parlando con cautela tra i suoi sostenitor­i (sino a poco fa) a Mosca e al Cairo. Lo stesso presidente russo Vladimir Putin ne avrebbe trattato per telefono

In festa Combattent­i del governo di Accordo nazionale a Tripoli guidato dal premier Fayez Sarraj ieri in festa dopo la riconquist­a di Tarhuna, che era diventata una roccaforte del generale Haftar (Afp) con Erdogan. Ma occorre prima negoziare il suo ritiro con gli Emirati Arabi, che sino ad ora continuano a finanziare lautamente il suo auto-proclamato «Esercito Nazionale Libico». Al fine di preparare un ritiro soffice, si sta pensando all’eventualit­à di un forte «numero due» destinato a prendere il suo posto e reclutato tra i suoi alti ufficiali.

Totalmente escluso è invece il figlio maggiore, Saddam Haftar, considerat­o troppo legato alle squadracce responsabi­li di gravi crimini contro gli oppositori politici interni. Primo tra tutti il rapimento (e probabilme­nte l’assassinio) nel luglio scorso a Bengasi di Sehan Sergewa, la deputata attivista per la difesa dei diritti umani che aveva pubblicame­nte criticato la guerra in corso.

Ma il futuro dello scenario libico resta tuttora incerto. Non va dimenticat­o che, sino alla scelta di attaccare Tripoli il 4 aprile 2019, Haftar era una figura chiave, sembrava destinato a dominare la conferenza nazionale organizzat­a dall’onu pochi giorni dopo per la creazione di un governo unitario. Ancora a novembre le sue truppe erano posizionat­e per una rapida vittoria.

L’intervento militare turco ha però rovesciato gli equilibri. Oggi le milizie vittoriose starebbero persino mirando a Sirte e alla base di Jufra, dove si sono ritirati anche i mercenari russi della Wagner.

Ancora una volta potrebbero essere Erdogan e Putin a decidere i perimetri delle loro offensive.

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