Tateh e la sostenibilità costruita sulla sabbia
Architetto in un campo profughi del Sahara: le sue case-modello con la bottiglie di plastica
All’inizio lo consideravano un architetto folle. Eppure l’idea venuta al 34enne Tateh Lehbib Braica — cresciuto in un campo profughi di Tindouf in Algeria dove si è rintanata la comunità Sahrawi, di cui fa parte, a causa del conflitto tra le comunità legate al Fronte Polisario e il Marocco e la Mauritania nel Sahara occidentale — è stata geniale: per erigere abitazioni destinate alle famiglie povere egli utilizza le bottiglie di plastica in modo che si riduca la temperatura interna e il materiale impiegato funga da riparo dalle tempeste di sabbia che rendono impossibile la vita nei luoghi desertici.
Le 25 case erette sino a oggi fanno parte di un progetto denominato Sand Ship che Tateh motiva così: «Voglio sensibilizzare la popolazione desertica sull’importanza dell’architettura sostenibile. Tradizionalmente le costruzioni erano in adobe, ma questo mattone d’argilla, sabbia e paglia si consuma facilmente così come la copertura isolante interna in pelo di cammello e di capra visto che la temperatura oscilla dai 50° di giorno al freddo intenso della notte, e alla lunga la sabbia piena di sale rende il mattone fragile di fronte al vento».
L’architetto dei Sahrawi è un attento osservatore anche del mondo degli animali. «Nel deserto mostrano una grande resistenza, ad esempio la concatenazione delle ossa dei cammelli ha una forma molto interessante, con la sequenza di giunture legate le une alle altre. La prima casa l’ho costruita per mia nonna Koria riempiendo di sabbia 5 mila bottiglie di plastica che ho disposto su di una pianta circolare, appoggiandole su basi in cemento. Una massa di sabbia e paglia funge da colla tra i contenitori. Il rivestimento è in calce e terra».
Tateh ha studiato architettura a Las Palmas, nelle Canarie, ma prima di rientrare in patria per esercitare la propria professione sbarcava il lunario come professore di spagnolo. Il legame con la sua gente e il desiderio di aiutarla a vivere in maniera meno precaria lo hanno spinto prima a tornare a Tindouf e poi a cercare finanziamenti per il suo progetto. «I miei connazionali hanno capito come sia possibile costruire usando materiali locali a basso costo, facilmente reperibili, e l’importanza ed efficacia del riciclo della plastica. E ora hanno più fiducia nella possibilità di creare sempre più nuclei abitativi, senza più avvertire il bisogno di andarsene altrove. Un’idea esportabile in tutti i luoghi desertici».