NEGOZIATI SULLA BREXIT, FIDARSI DI LONDRA È SEMPRE PIÙ DIFFICILE
Coperto dal clamore della pandemia, il negoziato sulla fase 2 della Brexit sta scivolando inesorabilmente verso il precipizio. Ieri si è conclusa l’ultima fase di colloqui (a distanza): «Non ci sono stati progressi significativi», ha annunciato il capo negoziatore europeo, Michel Barnier, perché «non è questione di metodo ma di sostanza». In pratica, ha accusato Barnier, il governo di Londra si sta rimangiando gli impegni presi alla fine dello scorso anno, quando Boris Johnson aveva sottoscritto una «Dichiarazione politica» nella quale si fissavano i termini dei rapporti futuri fra Gran Bretagna e Unione europea. Nella conferenza stampa di ieri pomeriggio, Barnier ha riletto punto per punto i passaggi del testo che era stato accettato da Johnson: e che ora viene disatteso. Il nodo del contendere è il cosiddetto «level playing field», quella parità di condizioni che Londra si impegnava a mantenere per non trasformarsi in una specie di paradiso offshore alle porte della Ue e praticare dunque una concorrenza sleale. Ma a Downing Street la vedono in maniera diversa: per loro, la Dichiarazione politica fissava solo i parametri generali della discussione, senza implicare che tutto ciò che menziona debba finire per forza nei Trattati finali. Una interpretazione singolare, che in pratica riduce quegli impegni a carta straccia. La conseguenza è che, in mancanza di un’intesa, alla fine dell’anno scadrà l’attuale periodo di transizione e si andrà a un «no deal», una Brexit senza accordi che comporterà il ritorno a dazi e dogane (con contraccolpi pesanti sui 20 miliardi annui di esportazioni italiane verso il Regno Unito). Ma a Londra non sembrano preoccuparsene e sottolineano piuttosto i vantaggi di una piena, ritrovata indipendenza dal quadro regolativo europeo. Però c’è da chiedersi chi si fiderà di loro in futuro, se sono pronti a rimangiarsi la parola con tanta disinvoltura: una volta si sarebbe invocata la «perfida Albione»... Ma lasciamo stare.