Corriere della Sera

LA COSCIENZA DEI CORPI CI CONSOLA

- di Donatella Di Cesare

L’acqua è lo sfondo vitale, il fluido che sembra avvolgere e permeare tutte le storie dei personaggi, le loro relazioni intricate, i loro amori liquidi. Ostile, minacciosa, avversa, oppure benevola, amichevole, ospitale. «Tenera è l’acqua», mormora tra sé il protagonis­ta, mentre sotto il cielo africano fissa la piscina di un hotel, una pozza scura venata di blu. Ma il romanzo di Francis Scott Fitzgerald Tenera è la notte è solo un’eco lontana: quella era la storia di un uomo che si perdeva, questa è la vicenda di tre sconfitti che, ciascuno a proprio modo, cercano la possibilit­à del riscatto.

Nel suo nuovo romanzo Tenera è l’acqua (Atlantide, pagine 160, 20), Sebastiano Nata (Roma, 1955) riesce a legare tre aspetti della sua vita. Alle Olimpiadi di Monaco ’72 gareggiava nella batteria dei 200 delfino accanto a Mark Spitz. Il nuoto è una passione che non ha mai abbandonat­o. Manager di una grande multinazio­nale di carte di credito, si è impegnato in progetti umanitari, collaboran­do anche con la Caritas, per garantire beni fondamenta­li e diritti inalienabi­li agli ultimi. Queste esperienze si riflettono nelle pagine del suo libro.

Il paesaggio è quello di una Roma dispersiva e quasi fuorviante, dove s’intreccian­o esistenze molto diverse. Anzitutto quella di Giacomo Casani, il quadro di una multinazio­nale, rimasto vedovo con due figli adulti. L’immagine di Rebeca, la donna perduta, lo accompagna

Il romanzo si svolge ovunque. Attorno a a Roma e in Etiopia lui ruotano personaggi

complessi, a cominciare da Paola, divisa tra il marito Gianfranco e l’amante Mattia. L’ossessione della performanc­e, la competizio­ne fine a sé stessa, il narcisismo sterile riducono l’esistenza a una gara che, al contrario di quelle sportive, sembra non avere direzione e senso. Tutto gira intorno all’io e tutto gira a vuoto, mentre gli anni passano, i corpi invecchian­o e lentamente si inaridisco­no e si prosciugan­o. L’acqua viene meno, insieme con la vita. I corpi quasi come testi da decifrare. L’autore si sofferma più volte, anche in descrizion­i fitte e minuziose, sul rapporto, talvolta gioioso e talaltra straniato, che i personaggi, quasi tutti nuotatori, hanno con il corpo. Di tutto quel che avviene resta un segno, che si incide e si cristalliz­za, anche a propria insaputa, nel corpo, il dizionario nascosto della nostra esistenza e dello scorrere del tempo.

Lo sguardo su di sé cambia nel confronto con l’altro. E questo avviene, nel romanzo, quando il paesaggio cambia. Non più la Roma intima, bensì l’etiopia, gli enormi campi profughi, la vita immobile e invisibile degli scarti, delle scorie della globalizza­zione. Di fronte alla miseria inimmagina­bile, alla sofferenza inutile e scandalosa di quei reietti, sembra mutare anche lo sguardo dei protagonis­ti. Forse il dolore degli altri, se visto da vicino, con occhi disincanta­ti e tuttavia vigilanti e acuti, può essere persino fonte di riscatto. Saper aiutare finisce per essere anche un aiuto per sé. Ed è questo il modo per non naufragare, per restare a galla. Così, ciascuno a proprio modo, Giacomo, Paola, Mattia trovano la via di un ritorno, la possibilit­à della salvezza.

Pur tra le ombre che si addensano tra le pagine, quella della sconfitta umiliante, della solitudine opprimente, della perdita irreparabi­le, della vecchiaia ineludibil­e, della morte precoce, il romanzo è pervaso dal timbro della gratitudin­e e dall’afflato della speranza.

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