LE RICHIESTE DELL’EUROPA
La ripresa I pregiudizi nei nostri confronti si sono attenuati ma non sono spariti. Ora dobbiamo superare le ridicole polemiche degli ultimi tempi e decidere subito di fare ricorso al Mes
Con una velocità e un impegno sorprendenti, la Ue sta mettendo a punto una strategia di «recovery» (ripresa) molto ambiziosa. La crisi Covid-19 ha convinto i leader nazionali che il semplice coordinamento non basta più, occorre passare alla gestione in comune dell’economia europea. Se si sgretolano le sue fondamenta, nessun Paese si salva da solo. La proposta di von der Leyen prevede l’emissione di titoli garantiti dalla Ue e l’uso di parte dei fondi così raccolti in aiuti a fondo perduto.
Non sono state ancora scritte le ultime parole. Ai cosiddetti Paesi «frugali» (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) gli aiuti non piacciono affatto, preferirebbero prestiti condizionati. Anche segmenti importanti dell’opinione pubblica e dell’establishment tedeschi nutrono seri dubbi. Angela Merkel è però riuscita a far digerire l’idea al Bundestag. Meritandosi così, al crepuscolo della sua carriera, la palma di autentica statista. I pregiudizi nordeuropei contro il «club med» e l’italia in particolare si sono attenuati, ma non sono spariti. Si teme che la valanga di soldi diretti verso Sud vada sprecata. Venerdì scorso, in un’intervista, Merkel ha di nuovo cercato di rassicurare i tedeschi su questo punto: la Ue vigilerà sull’impiego dei soldi. E ha aggiunto che il premier italiano Conte sta per lanciare un piano «per cambiare il suo Paese» e abbattere la burocrazia.
Le parole della Cancelliera sono un apprezzamento, ma anche un avvertimento: non deludetemi, mantenete gli impegni. La vittoria che il governo Conte ha oggettivamente ottenuto a Bruxelles, anche grazie a Spagna e Francia, sul fronte degli aiuti esterni carica dunque sulle sue spalle una enorme responsabilità interna. Abbiamo sostenuto che la salute di ciascun Paese membro riguarda anche tutti gli altri. Li abbiamo convinti e saremo aiutati. Se non prendiamo le medicine giuste, saremo noi a danneggiare chi ci aiuta, oltre che ovviamente noi stessi. La nostra sarà stata così una vittoria di Pirro.
Che cosa dobbiamo fare? Non ci vuole grande inventiva. L’agenda sta scritta nelle raccomandazioni che abbiamo ricevuto dal Consiglio il 20 maggio. Niente diktat e niente austerità. Piuttosto: investimenti pubblici, istruzione, formazione, misure per la produttività e l’occupazione (femminile e giovanile), lotta alla povertà minorile, burocrazia, giustizia, gestione oculata della finanza pubblica, evasione fiscale, un prelievo che non disincentivi il lavoro e penalizzi le imprese. Obiettivi che, in varie combinazioni, sono stati inclusi nei programmi di tutti i governi passati. Ma che non sono mai stati concretamente realizzati.
Sulla carta, non ci vorrebbe molto a delineare un progetto serio. Il clima politico però non lascia ben sperare. Nel Paese è in atto un acceso conflitto distributivo, cavalcato a spron battuto dai partiti. L’uso esplicito dell’espressione «tesoretto» la dice lunga sulla logica con cui le varie parti in causa guardano ai fondi europei. Dietro le dichiarazioni di facciata su improbabili rinascimenti, si stanno giocando molte e disparate partite di piccolo cabotaggio. Non che Alitalia, Ilva, autostrade, bonus edilizio o incentivi per l’auto non siano questioni importanti. Ma la loro soluzione va cercata all’interno di una cornice complessiva e coerente.
Due scelte vanno fatte subito. Chiederemo i fondi al Mes? Le polemiche su questo punto hanno ormai raggiunto la fase del ridicolo. Si tratta di un’occasione unica per rafforzare in grande stile le nostre strutture sanitarie, anche al Sud. Di rimediare a carenze e difetti emersi durante la pandemia. Sarebbe assurdo perdere l’occasione.
La seconda scelta riguarda lo strumento e il metodo da usare. Anche qui la risposta sembra ovvia: il Programma nazionale di riforma. Si tratta di un documento che il governo italiano deve comunque presentare a Bruxelles entro settembre. L’italia è l’unico Paese che non lo ha mandato ad aprile, la scadenza prevista, che è stata invece rispettata da tutti gli altri Paesi. Usare il Pnr per elaborare e presentare la cornice ha tanti vantaggi. È un atto dovuto, nessuno può eccepire. Va costruito — lo stabiliscono le norme — attraverso un processo di consultazione: ci starebbero persino gli Stati Generali dell’economia (purché non come punto di inizio). Il Programma deve partire dai temi già indicati nelle raccomandazioni di maggio. Infine, è il documento più congruo per dialogare con la Ue, che lo sta aspettando.
Fra le priorità del Programma non può mancare la riforma della pubblica amministrazione. Si tratta della leva indispensabile per risollevare l’italia. Negli ultimi mesi l’inefficienza della burocrazia, la sua lentezza, la semplice incapacità di informare e comunicare con gli utenti hanno esasperato i cittadini italiani in un delicato momento di bisogno. I «decreti semplificazione» non bastano, anzi in passato hanno spesso peggiorato le cose. Si elabori un progetto ampio, incisivo e chiaro, anche nel linguaggio. Sarà il primo indicatore della serietà con cui questo governo affronta la sfida. E anche la cartina di tornasole della nostra credibilità verso l’europa, che questa volta non possiamo permetterci di deludere.