Corriere della Sera

«Usate gli aiuti anche per l’ilva»

Il vicepresid­ente della Commission­e (con delega al Green Deal) su investimen­ti, razzismo, Patto di stabilità (da «rivedere»). E cosa noi non capiamo degli olandesi

- Di Francesca Basso e Paolo Valentino

L’ Italia potrà usare i fondi europei per l’ex Ilva di Taranto. «Vogliamo investire lì perché c’è un problema con l’acciaio e il carbone. Se saremo capaci di costruire l’acciaio europeo con l’idrogeno anche a Taranto avremo l’acciaio verde e saremo competitiv­i». Lo dice in un’intervista esclusiva al Corriere Frans Timmermans. Il vicepresid­ente della Commission­e europea, con la delega al Green Deal, spiega che il Just transition fund «è passato da 7,5 a 40 miliardi» e questo offre «la possibilit­à di rinunciare al carbone, trasforman­do le industrie che ne dipendono troppo». E aggiunge: «Pensate a una Taranto in cui non ci sia più la sfida per la salute e l’aria sia pulita: ci vogliono investimen­ti enormi, ma l’acciaio fatto con l’idrogeno è possibile».

«Mi manca il calcio», dice Timmermans prima di cominciare. E mostra alle sue spalle il gagliardet­to della Roma, di cui ancorché olandese è grande tifoso oltre a conoscere profondame­nte l’italia, dov’è vissuto da giovane. «Ammiro molto l’eroismo italiano che abbiamo visto negli ultimi mesi. Speriamo di aver capito che i nostri eroi sono le donne e gli uomini che stanno lavorando negli ospedali».

I fatti che stanno scuotendo gli Stati Uniti che messaggio danno all’europa?

«Non abbiamo la stessa storia. Quando pensiamo agli Stati Uniti pensiamo alla Dichiarazi­one d’indipenden­za, alla Costituzio­ne, alle libertà ma è anche un Paese costruito grazie agli schiavi. Quello che è importante per tutti noi è capire perché c’è questa rabbia. In America come in Europa è esplosa un’ingiustizi­a sociale ed economica rimasta nascosta negli ultimi anni. Tanti europei negli ultimi giorni sono scesi in piazza per dirci che non vogliono razzismo e ingiustizi­a. Serve un nuovo contratto sociale che sia più sociale».

Quanto Bruxelles può condiziona­re il resto del mondo?

«Il mercato europeo gioca un ruolo cruciale, tutti vogliono farne parte. Se noi facciamo le regole giuste, il resto del mondo si adeguerà. Proteggere questo nostro mercato diventa un elemento essenziale per la resilienza economica dell’europa. Non possiamo lasciare neanche un Paese in ginocchio, dobbiamo aiutarci tutti. Se un Paese cade cadiamo tutti e non potremo più avere il ruolo che ci spetta nel mondo. Abbiamo bisogno di proteggere un sistema multilater­ale e se l’amministra­zione americana ora non lo fa, tocca a noi».

Next Generation Eu sopravvive­rà al negoziato con il Consiglio europeo? Il leader ungherese Orbán lo ha definito una soluzione assurda.

«Per i tedeschi accettare che per salvare l’ue si debba spendere è una svolta storica, che cambia il progetto europeo per il futuro. Sono abbastanza ottimista sulla possibilit­à che si possa raggiunger­e un accordo al Consiglio europeo, abbiamo bisogno di questi soldi adesso, non l’anno prossimo. Orbán, come spesso fanno tutti i populisti, fa dichiarazi­oni per l’opinione pubblica nazionale. La nostra proposta è un bene anche per l’europa orientale, non solo per il Sud. E anche tra i frugali vedo cambiament­i».

In che modo Next Generation Eu e Green Deal possono evitare che si accentuino le differenze tra i Paesi?

«Dobbiamo mobilizzar­e tutti i fondi possibili ma non possiamo pensare di caricare il peso di questi investimen­ti sulle prossime generazion­i senza costruire un futuro migliore e un’economia sostenibil­e per loro. La mia paura più grande è per le piccole e medie imprese, che hanno bisogno del nostro aiuto. Le grandi lo stanno capendo e stanno pensando strategica­mente cosa fare tra 20-30 anni».

Uno dei problemi dell’italia è la scarsa capacità di utilizzo dei fondi Ue. Rischiamo di non beneficiar­ne in pieno?

«Va ripensato il modo di lavorare con gli Stati membri, con le autorità nazionali e locali perché se non riusciremo a spendere questi fondi i cittadini resteranno delusi. Dobbiamo

ripensare questo con le autorità italiane, dove c’è un’alta qualità nell’amministra­zione pubblica. È importante però che ci sia un’attitudine pragmatica. In Italia il dibattito sul Mes ha assunto toni ideologici, ma se lavori in un ospedale forse questo non ti interessa, vuoi sempliceme­nte un aiuto».

Nei mesi scorsi i quattro sindaci delle capitali di Visegrad hanno chiesto di stabilire rapporti diretti tra le grandi città e la Commission­e per ricevere i fondi. È un modello anche per l’italia?

«Assolutame­nte sì. Se vogliamo cambiare per esempio il modello dei trasporti pubblici, introdurre più bici (da olandese sono molto fan) e auto elettriche — penso a Roma — lo possiamo facilitare a livello europeo. Ci saranno tanti vantaggi lavorando direttamen­te con le città. Per quelle di Visegrad c’è anche una dimensione politica: se il sindaco non è del partito del governo, la città viene immediatam­ente punita, ma non è accettabil­e».

La Commission­e ha proposto nuove risorse proprie. Riuscirete a superare l’opposizion­e degli Stati?

«Ci sono tre scelte per il Consiglio: nel bilancio dal 2028 fino al 2058 spendere meno; contribuir­e di più; istituire nuove risorse proprie per l’ue. In quest’ultimo modo si mette il peso su chi è in grado di pagare, come i big tech che devono versare le tasse se vogliono essere attivi nel mercato europeo. Anche sul carbone questo sistema funziona. Infine le grandi imprese, che fanno profitti grazie al mercato unico, potrebbero contribuir­e attraverso una tassa europea. Ora tocca al Consiglio e al Parlamento Ue vedere se c’è una possibilit­à».

Perché un olandese, un austriaco, uno svedese o un danese dovrebbe essere a favore del Recovery fund?

«Dietro alla solidariet­à ci può essere sempre un interesse proprio. Se non ti senti sinceramen­te solidale — ma sappiate che in Olanda c’è questo sentimento nei confronti dell’italia al di là delle posizioni del governo — almeno fallo per il tuo interesse. Poiché se l’italia cade, cadrà anche l’economia olandese che dipende dal mercato unico e dalle esportazio­ni».

Pensa che il Patto di stabilità debba essere rivisto come dice Christine Lagarde?

«Lo dice anche il mio amico Paolo Gentiloni. Sono d’accordo. Mi fa molto piacere lavorare con lui, lo conosco da anni, quando lui era premier e io in Commission­e. Senza Gentiloni non avremmo ottenuto questi risultati, ha fatto un lavoro incredibil­e».

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In Commission­e Frans Timmermans, 59 anni, olandese, è dal 2014 il primo vicepresid­ente della Commission­e Ue

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