Corriere della Sera

LE RISPOSTE DELL’ITALIA

- di Nicola Saldutti

In queste settimane il dibattito si è molto concentrat­o sulla questione del Recovery fund, il fondo europeo che consentirà all’italia di accedere a risorse comunitari­e per circa 173 miliardi di euro. Una quota verrà assegnata sotto forma di prestiti a lunghissim­o termine, una quota attraverso aiuti cosiddetti a fondo perduto. Risorse che naturalmen­te si aggiungono a quelle previste dagli ordinari fondi di bilancio.

Ci sono poi i 50 miliardi che la Cassa depositi potrà investire, gli incentivi che il governo ha messo in campo per reagire alla crisi, gli investimen­ti delle società partecipat­e dallo Stato, come Enel o Eni, Snam, Fincantier­i, Leonardo o Ferrovie dello Stato. Un ingente patrimonio sul quale poter pensare di accelerare, anzi di rianimare un’economia stremata dalla crisi pandemica e dal crollo delle aspettativ­e. Risorse ingenti, appunto. Per le quali però l’italia rischia di giocare una partita di rimessa, non di visione. Gli Stati Generali potrebbero servire a questo, a patto che siano riunioni operative, e che non si trasformin­o in una sfilata di manager, ministri e sottosegre­tari.

Prendiamo il caso dei Fondi europei di sviluppo regionale, sempre previsti dall’ue. Per molti anni il nostro Paese ha perso occasioni per la sua congenita mancanza di progettazi­one, disciplina delle idee, coordiname­nto tra pubblico e privato, fastidio verso il monitoragg­io. E qui veniamo a un punto delicato; lo schema degli amministra­tori pubblici, per come sono costruite le norme, è più o meno questo: prima prendiamo i soldi e poi pensiamo ai progetti da realizzare. È per questo che spesso sono sfumate possibilit­à di investimen­to e di crescita, di fondi mai spesi o spesi per progetti diversi da quelli inizialmen­te decisi. Qui è diverso, lo schema del Recovery fund è invertito: prima vediamo i progetti, poi arriverann­o i soldi. Ed è qui che serve uno sforzo straordina­rio, in tempi brevi. Uno sforzo fatto di intelligen­ze, di istituzion­i, di pubblico e privato. Di scelte.

Il governator­e della Banca d’italia, Ignazio Visco, nelle sue Consideraz­ioni finali ha tracciato un percorso: serve uno sforzo straordina­rio di progettazi­one e di tecnica. In molti in queste settimane hanno delineato la necessità di un Paese più digitale. Vero. Però per ottenere quei fondi bisognerà spiegare alla Commission­e come. Con quali progetti, con quali investimen­ti, con quali tecnologie, a partire dal 5G, l’internet superveloc­e. Ecco, quella può essere una buona base di partenza. Lo schema per le gare delle licenze indicava per le società il vincolo di progettare mobilità, sanità, educazione mettendo insieme imprese, grandi e piccole, Università, partner tecnologic­i, istituzion­i. Ecco, che il governo stili un elenco di cinque cose da fare, qualcuno verrà lasciato fuori ma almeno quei fondi saranno utili. Altrimenti il copione della lamentela andrà in onda, senza visione. Dall’esperienza di gestione di progetti complessi c’è molto da imparare in relazione all’esistenza di «condizioni abilitanti», le decisioni e i piani necessari per poter procedere speditamen­te. Un altro insegnamen­to riguarda cosa si fa con i soldi e cosa si fa con le norme. Sono stati creati mercati per le imprese con norme di regolazion­e, con standard produttivi, con incentivi ai privati. D’altra parte, sarebbe urgente in Italia occuparsi di indirizzar­e il risparmio sempre di più verso l’economia reale.

Il tema della capacità di progettazi­one è cruciale: bisogna avere la capacità di immaginare come funzionera­nno i meccanismi operativi fino a completame­nto dei progetti da finanziare, non solo fare un primo schizzo su un foglio di carta. Arrivare a quello che per le opere corrispond­e alle progettazi­oni esecutive, oppure inserire in una cornice organica e coerente quello che è già pronto per partire. Il tempo infatti è una variabile decisiva in questa fase. I primi effetti di questo grande piano devono manifestar­si in tempi brevi, pur tenendo un orizzonte di medio termine. La situazione di emergenza consente l’adozione di semplifica­zioni inimmagina­bili, efficaci a patto di avere chiari gli obiettivi finali. Vanno superate le artificios­e divisioni di competenze (per non dire quelle tra appartenen­ze politiche). Un dato: a sei anni dalla partenza dei fondi struttural­i europei 2014-2020 l’italia è riuscita a non spenderne il 71%, circa 38 miliardi persi. Come dire: i soldi ci sono, senza progetti si perdono o si dirottano verso obiettivi diversi da quelli iniziali vanificand­o gli iniziali obiettivi di sviluppo.

La macchina dello Stato è disegnata sulla base di uno schema novecentes­co, il ministero dell’economia, il ministero dello Sviluppo, il ministero dell’ambiente, il ministero della Pubblica amministra­zione. Lo schema è impossibil­e da mutare, ma sicurament­e per poter accedere a quei fondi sarà necessario che molti muri di competenze trasversal­i cadano. Perché, come ha detto Visco, o si lavora tutti insieme o non si va da nessuna parte.

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