Voto europeo e crisi di governo
Alle Europee del 2019, la Lega sale nei consensi con il 34,3%, mentre FI cala all’8,8%, e FDI sale al 6,4%. Nel giro di pochi mesi è crisi per il governo M5s-lega dicendogli che «la sua epopea caro presidente è scritta a caratteri cubitali sui libri di storia». Ma in fondo non ha più senso nemmeno parlare di centrodestra, perché l’adesione al credo proporzionale libera dai vincoli di coalizione. Anche la Lega sembra volere le «mani libere», così raccontano gli sherpa del Pd, e la Meloni attende di subire questa decisione per gridare al tradimento del maggioritario in Parlamento e fare poi incetta di voti nel Paese. Se finirà così sarà divorzio tra alleati, anche se dopo le elezioni potrebbero ritrovarsi a convivere sotto il tetto di Palazzo Chigi.
In ogni caso «noi saremo l’ago della bilancia», avverte il Cavaliere: «Senza di noi non avrebbero i numeri per vincere né per governare». Non sfugge l’ambiguità delle sue parole, perché volutamente Berlusconi non chiarisce quale verso farà prendere all’ago. E il suo «sì incondizionato» al Mes rende ancor più criptico il messaggio: il Mes infatti non è più solo uno strumento finanziario, è diventato la metafora di un nuovo «arco costituzionale» sotto il quale si riuniranno quei partiti che sposano la linea europeista, ripudiata per ora da Lega e FDI e accettata invece da «quelli di sinistra». Ecco l’unica scelta strategica. Il resto è tattica, il Palazzo vive alla giornata. Ed è il tallone d’achille del Cavaliere, dei suoi alleati, dei suoi avversari, di tutta la politica, che vede avvicinarsi la crisi e non reagisce. Accadde già nel ‘94: anche allora ci fu una crisi di sistema e i partiti del tempo pensarono di cavarsela. Invece furono spazzati da una novità. Che era Berlusconi.