Corriere della Sera

Le storie dietro ai nomi. L’omaggio alle vittime

Domani uno Speciale dedicato ai 34 mila scomparsi per il Covid I volti di 320 persone: genitori, mariti, mogli, compagni, figli e nonni Un tributo per ricordarli tutti, un modo per continuare a vivere

- di Giusi Fasano www.corriere.it

«Sì, i morti sono ancora qui. Tutti quei morti che sono i nostri morti». Paolo Giordano ci racconta che così lui immagina le vittime del coronaviru­s, «ancora qui», come li ha descritti George Saunders nel romanzo Lincoln nel Bardo: anime che non sanno accettare di essere morte o, per dirla con lo stesso Giordano, «morti che non si sono rassegnati alla propria fine» e «si trovano in transizion­e perché hanno ancora qualcosa da dire».

Ecco. Le pagine dello speciale In Memoria che troverete domani in edicola (gratis) con il Corriere della Sera, sono un omaggio a chi ha «ancora qualcosa da dire», per sé e per i molti altri che rappresent­a: 320 storie, alcune delle quali raccontano più di una sola morte. Dettagli preziosi luccicano dalle vite di queste persone che quasi sempre si sono spente in solitudine, in un ospedale o una residenza per anziani. Sono piccoli racconti di «vittime che meritano il risarcimen­to della memoria», scrive Aldo Cazzullo che non parla di Spoon River, piuttosto dell’ «autobiogra­fia di un popolo».

«Volevamo pregare, piangere e disperarci davanti a loro e non ci siamo riusciti» ricorda nel suo editoriale (qui sotto) il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana.

Non ci siamo riusciti e abbiamo affidato alle parole il compito che abbiamo sempre riservato agli abbracci, agli sguardi, alle mani tenute strette. Le parole sono diventate medicament­o per la ferita inaccettab­ile della lontananza da chi si è tanto amato e che se n’è andato senza un saluto (fisico). I necrologi, le lettere sui social, i bigliettin­i fatti arrivare in ospedale, gli slogan scritti su cartelli o lenzuola appesi alle finestre, le frasi tracciate con il pennarello sui camici di infermieri, medici, operatori sanitari. Le parole

non dette. Perché sì, i morti e le loro famiglie avevano «ancora qualcosa da dire».

Le storie raccolte in loro memoria sono piccoli germogli di una pianta che tutti dovremmo coltivare: il ricordo. Di Angelo Rottoli, per esempio, che aveva 61 anni ed era una vecchia gloria del pugilato internazio­nale. Oppure di Marcello Natali, 57 anni, che da medico capì e nel suo ultimo messaggio scrisse «non vado bene, non respiro. Prevedo un tubo a breve-medio termine». Angela Vinci, infermiera, aveva 68 anni, era in pensione e ha pagato con la vita il desiderio di tornare in corsia a dare una mano. Lorenzo Facibene era un vigile del fuoco, 52 anni, elisoccorr­itore, volontario della Croce bianca, aveva aiutato le vite degli altri dopo vari terremoti, l’ultimo nel Centro Italia, quattro anni fa. Paolo Micai, giornalist­a, regista e videoperat­ore, è morto a 60 anni per aver voluto documentar­e i primi giorni dell’epidemia in Lombardia. Samar Sinjab, 62 anni, era arrivata dalla Siria nel ‘78, aveva studiato e si era laureata in Italia, faceva il medico di base. I suoi pazienti hanno chiesto al figlio, specializz­ato in Medicina legale, di prendere il suo posto in ambulatori­o. Anna Caracciolo, 36 anni, accudiva amorevolme­nte i nonni, come li chiamava lei, della casa di riposo in cui lavorava, li portava a vedere il mare, l’orizzonte lontano che non potevano guardare dalle loro stanze.

Tutti loro e tanti, tantissimi altri. Finora i morti sono quasi 34 mila. Ciascuno ha «ancora qualcosa da dire». Raccontiam­o 320 di loro perché «parlino» per tutti. E per non dimenticar­ne nessuno.

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Sopra, la copertina e alcune delle 24 pagine con le storie delle vittime di Covid. Lo Speciale del Corriere «In Memoria» sarà domani gratis nelle edicole e sulla homepage del nostro sito
In edicola e sul sito Sopra, la copertina e alcune delle 24 pagine con le storie delle vittime di Covid. Lo Speciale del Corriere «In Memoria» sarà domani gratis nelle edicole e sulla homepage del nostro sito
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