Corriere della Sera

Il palazzo a Londra I conti svizzeri di monsignor Perlasca

- Alberto Pinna Mario Gerevini Fabrizio Massaro

«Li ho chiamati, erano d’accordo per donare gli organi — ha subito deciso Ignazia, 48 anni, marito scomparso sette anni fa — se per lui non si poteva far nulla, che almeno una speranza potesse darla ad altri».

Francesco ha ripreso conoscenza, sta meglio, è guarito dal Covid-19: «Non si sapeva se anche i polmoni trapiantat­i potessero essere aggrediti dal coronaviru­s» ha detto Mario Nosotti, il chirurgo che l’ha operato. Non è accaduto e ora procede con una graduale rieducazio­ne respirator­ia. Lo hanno informato con cautela del trapianto. «Si sono ripresi bene anche gli altri — riferisce Rinaldo, compagno della mamma di Davide — e i tre sardi sono già ritornati a casa in convalesce­nza». Ignazia Sanna non ha notizie del paziente emiliano cui è stato trapiantat­o il fegato. «So che non sarà possibile abbracciar­li subito, anche io sto ancora male, non riesco a rassegnarm­i che Davide non ci sia più. Ma vederli e parlare con loro mi può tanto aiutare».

Parte la caccia ai soldi. E ovviamente si finisce in Svizzera. Qui si apre il portafogli­o dello scandalo vaticano del palazzo londinese in Sloane Avenue. Milioni di euro sono stati bloccati su conti svizzeri riferibili, secondo quanto risulta al Corriere, a cinque soggetti chiave tra quelli al centro dell’indagine penale. Il primo è un prelato che ha ricoperto un ruolo di primo livello: monsignor Alberto Perlasca, dal 2009 al 2019 numero uno dell’ufficio amministra­tivo della Segreteria di Stato. Poi Enrico Crasso, ex banchiere di Credit Suisse, storico fiduciario di cardinali e papi. Fabrizio

Le indagini

Nei guai i finanzieri che hanno gestito l’operazione di Sloane Avenue

Tirabassi, ex funzionari­o con molti poteri della Segreteria di Stato. Infine Gianluigi Torzi e Raffaele Mincione, i finanzieri con base a Londra che sono stati rispettiva­mente broker e contropart­e nella operazione da 300 milioni del palazzo. A tutti la magistratu­ra vaticana ha sequestrat­o, con la collaboraz­ione delle autorità svizzere, decine di conti personali o società in cui erano delegati a operare per decine di milioni di euro, anche se sulle cifre non vi sono conferme attendibil­i. Posizioni diverse che dovranno essere chiarite. Enrico Crasso, contattato dal Corriere della Sera, ha precisato che nei suoi confronti i sequestri riguardano conti «solo gestiti», offrendo «massima collaboraz­ione agli inquirenti fiducioso dell’assoluta correttezz­a del suo operato». Anche il legale di Mincione, Gigi Giuliano, del foro di Milano, chiarisce che non sono ancora arrivate notifiche formali. È un altro chiaro segnale che è vicino il traguardo delle indagini, avviate dopo le denunce delle stesse autorità interne del Vaticano. Una svolta è stata con l’arresto venerdì sera al termine di un interrogat­orio di Torzi con l’accusa di estorsione, peculato, truffa aggravata e autoricicl­aggio, reati per i quali la legge vaticana prevede pene fino a 12 anni. Torzi nell’operazione ha incassato provvigion­i di 15 milioni. «È un grosso malinteso su dichiarazi­oni interessat­e, che possono aver fuorviato una corretta interpreta­zione della vicenda da parte degli inquirenti», hanno detto i legali di Torzi, Ambra Giovene e Marco Franco.

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