Torino, campo di battaglia fra padroni e operai
Caro Aldo, a proposito del suo articolo «Vittorio Valletta, torinese dimenticato», vorrei segnalarle che molti altri sono i torinesi (di origine o d’adozione) dimenticati e la cui vicenda è legata a filo doppio al nome di Valletta: si tratta di quelle decine di migliaia di operai sfruttati, spiati, privati dei loro diritti sindacali, condannati a eseguire lavori umilianti (oggi si parlerebbe di «demansionamento» o di mobbing) nei reparti confino voluti dal professor Valletta. Uno di questi era il mio prozio Bruno Cirio, confinato nel reparto punitivo che gli operai avevano ribattezzato Officina Stella rossa per l’infamante delitto di essere iscritto al Partito comunista italiano. Ben venga una via dedicata a Valletta, a patto però che un’altra via di Torino sia dedicata ai «Lavoratori vittime dello sfruttamento» o ai «Lavoratori illegalmente spiati dalla Fiat». In caso contrario si tratterebbe dell’ennesima prova che la storia — e la toponomastica — la scrivono i vincitori, i potenti e i prepotenti.
Giorgio Tordolo Orsello Caro Giorgio, grazie per la sua mail. La questione ovviamente esiste. Ci furono persecuzioni e licenziamenti ingiusti. Che vanno inquadrati nel contesto della Guerra fredda, di cui Torino era uno dei fronti. Non a caso i capi del Partito comunista erano torinesi di nascita o di formazione. Torino era il campo di battaglia in cui si decideva chi — tra i padroni e gli operai — avrebbe guidato la modernizzazione industriale del Paese. Vinsero i padroni. Grazie a uomini di ferro come Vittorio Valletta.