La serie A vuole andare di corsa e pensa a un rilancio in stile F1
Scade a fine giugno l’offerta del fondo Cvc, che ha gestito il circus fino al 2016 In dieci anni l’ipotesi è di investire 2,2 miliardi, diventando soci al 20 per cento
Saranno settimane cruciali per il calcio, in campo e fuori. La ripresa passa anche per le scelte da prendere per il futuro, la serie A ha tempo fino a fine giugno per decidere se trattare in esclusiva l’offerta del fondo Cvc. Un matrimonio di convenienza al quale molti presidenti guardano con interesse: legarsi a una realtà finanziaria che gestisce asset per più di 54 miliardi, e ne ha investiti recentemente 5 nel nostro Paese, in un momento di forte difficoltà economica può essere una ghiotta occasione.
Nei prossimi giorni il dossier sarà esaminato in modo più approfondito dopo le valutazioni del comitato ristretto dei quattro (Andrea Agnelli della Juve, Aurelio De Laurentiis del Napoli, Claudio Lotito della Lazio e Luca Percassi per l’atalanta), formato dal presidente Paolo Dal Pino. È stato il numero uno della Lega A a condurre le trattative con il private equity che fino a quattro anni fa controllava la Formula 1. Al centro dell’intesa c’è la costituzione di una nuova società con lo scopo di far fruttare i diritti televisivi, ma non solo. Dentro al «pacchetto» iniziative per aumentare il valore del marchio «Serie A» nel mondo sullo stile della Premier League in Inghilterra, e pure una serie di misure per aiutare i club nella ristrutturazione o nella costruzione di nuovi stadi.
L’obiettivo è portare 11 miliardi in dieci anni, Cvc diventerebbe socio della serie A fino a una quota massima del 20%, mettendo sul piatto circa 2,2 miliardi. Se un progetto del genere andasse in porto modificherebbe antiche logiche del nostro calcio ma anche gli equilibri interni.
Nella newco infatti il fondo avrebbe i suoi uomini all’interno del consiglio d’amministrazione, e pur delegando tutta la materia sportiva influenzerebbe le scelte attraverso le politiche commerciali. In particolare attraverso la leva delle licenze televisive, ancora più fondamentali per le casse delle società ora che il Covid-19 ha bloccato i ricavi derivanti dalla vendita di biglietti. Oltre alle emittenti tradizionali, la sfida sarà far spendere i giganti di internet, come Amazon, usciti ancora più forti dalla crisi.
In attesa di sapere quando e quanti tifosi potranno rivedere dal vivo le partite, il mondo della finanza guarda allo sport, indebolito dalla pandemia, come un potenziale moltiplicatore di soldi. Cvc, che ha partecipazioni nel rugby e ha mostrato interesse per la Bundesliga, si è già dimostrato molto abile nel generare valore.
Donald Mackenzie, scozzese, fra i fondatori del private equity, viene descritto da chi ci ha negoziato come un «duro». Attentissimo nel tenere sotto controllo i costi e nel distribuire ricchi dividendi. Riservatissimo, su di lui circola un aneddoto. Avrebbe raccontato di aver pianto una volta sola nella vita. Di gioia, dopo aver firmato il contratto di vendita della F1 agli americani di Liberty Media nel 2016. Quell’investimento in dieci anni gli ha fruttato un ritorno superiore al 450%, 4,5 miliardi di dollari. Sotto la proprietà di Cvc, con Bernie Ecclestone come partner e guida, la F1 ha raggiunto i picchi economici più alti, ha saputo approfittare della crescita delle pay-tv in Europa e nel mondo e ha attratto gli sponsor più pregiati: il valore dei diritti è passato dai 266 milioni dei primi anni Duemila a mezzo miliardo nel 2011 (lo scorso anno hanno toccato quota 762).
Cvc ha assicurato benzina, ma è anche stata accusata di badare solo al profitto e di non avere una visione di lungo termine. Ma con i fondi è così, vanno e vengono, e se il calcio sceglierà questa strada dovrà sfruttare tutti i vantaggi pensando anche al dopo.