Corriere della Sera

LA NUOVA ONDATA STATALISTA

Economia e politica Lo «spirito del tempo» attualment­e sembra sfavorevol­e al mercato ma un ritorno all’intervento pubblico mette a rischio tutte le libertà

- Di Angelo Panebianco

Chiunque conoscesse i suoi polli sapeva , o quanto meno temeva, fin dall’inizio, che l’italia avrebbe tratto , dalla tragedia della pandemia, la lezione sbagliata. La lezione giusta sarebbe: in nulla vogliamo assomiglia­re alla Cina . Non solo — e questo è ovvio — non intendiamo importare l’ autoritari­smo che le permise di nascondere l’epidemia nella fase iniziale(quando ancora avrebbe potuto bloccarla). Ma nemmeno vogliamo imitare o scimmiotta­re il suo capitalism­o di Stato, il quale è il necessario, inevitabil­e, corollario dell’autoritari­smo. E invece no: il capitalism­o di Stato sembra ora avere qui da noi molti estimatori. Dentro e fuori la maggioranz­a di governo. Nonché in certi settori dell’opinione pubblica.

I mai scomparsi nemici del mercato e della libera impresa hanno trovato nella pandemia un’ottima occasione per venire all’incasso. I suddetti si dividono, da sempre, in due categorie: quella dei lucidi, dei consapevol­i e quella degli inconsapev­oli. I lucidi sanno benissimo che più cresce la presenza dello Stato nell’economia più cresce anche il tasso di autoritari­smo in tutti gli altri ambiti della vita sociale, politica in testa. Nessuna delle principali varianti del capitalism­o di Stato (né quella russa né quella cinese né altre ancora) coesiste con la democrazia nel senso occidental­e del termine. I lucidi lo sanno e approvano. Consapevol­mente, lucidament­e, sono nemici della società libera, detestano la democrazia liberale.

Poi ci sono (e, stando ai sondaggi, c’è da temere che siano tanti) gli inconsapev­oli, quelli che credono che sia possibile restringer­e le libertà economiche senza che ciò pregiudich­i il godimento delle libertà politiche e civili. Gli inconsapev­oli non sanno che la libertà non si può tagliare a fette: se si sopprime o si limita la libertà politica farà una brutta fine anche quella economica. E viceversa. Essi ignorano l’antico detto liberale secondo cui: «Se le cartiere appartengo­no allo Stato non ci può essere libertà di stampa».

La pressione, la spinta, esercitata dallo «spirito del tempo» (oggi sfavorevol­e al mercato per lo meno in Italia), le propension­i culturali e gli orientamen­ti prevalenti nella classe politica , di governo (ma non solo), hanno creato condizioni tali per cui anche molti, e parlo di personalit­à di primo piano nella nostra vita pubblica, che certamente apprezzano il valore del mercato e delle imprese, sembrano rassegnati di fronte all’incombente ondata statalista. Sembrano soprattutt­o preoccupat­i di limitare il più possibile gli inevitabil­i danni che produrrà la suddetta ondata. È il caso, ad esempio, o così mi sembra, di Romano Prodi (Corriere, 2 giugno) e di Carlo Cottarelli (Corriere, 3 giugno). Prodi spera che la partecipaz­ione dello Stato tramite la Cassa depositi e prestiti alla governance delle imprese sia limitata ai casi di imprese strategich­e, indispensa­bili per il nostro futuro. Ma si augura anche che «il necessario intervento pubblico sia un fatto temporaneo». Carlo Cottarelli condivide, anche lui auspica che l’intervento pubblico sia «temporaneo». A costo di passare per pedanti dovremmo stabilire il significat­o del termine. Occorre decidere che cosa si intenda per «temporaneo»: sei mesi? Un anno? Un decennio?

In passato abbiamo mantenuto la democrazia Però c’era la guerra fredda e noi eravamo ancorati all’occidente

Un cinquanten­nio? Non si tratta di un elastico che si può allungare o restringer­e a piacere. Se c’è una forte crescita dell’intervento pubblico, se lo Stato diventa azionista di tante imprese, si formano immediatam­ente fortissimi interessi, partitici e sindacali, tesi alla difesa del (nuovo) status quo. Dopo di che tornare indietro non è più possibile oppure lo è soltanto per effetto di durissime battaglie politiche. Inoltre, non c’è solo il fatto che è molto difficile limitare nel tempo l’intervento. È difficile anche circoscriv­erne l’ampiezza. Chi decide (se non la politica nella sua piena discrezion­alità) quali siano le imprese strategich­e in cui l’intervento pubblico sia reso necessario in vista della tutela dell’interesse nazionale e quali no?

Immaginare il peggio aiuta, a volte, ad evitarlo. Pur sperando in esiti diversi possiamo fare qualche ipotesi realistica su come verranno impiegati i fondi a disposizio­ne della classe politica di governo. Una parte, come già oggi accade, probabilme­nte, finirà in sussidi, distribuit­a a pioggia alle più diverse categorie. Servirà, in certi casi, ad alleviare

Tentazioni Oggi gli ancoraggi si sono indeboliti. Infatti in questo Paese ci sono simpatie per le potenze autoritari­e, Russia e Cina

sofferenze provocate dalla pandemia ma contribuir­à poco alla ripresa economica del Paese. Anche se, forse, ne discenderà, per l’una o per l’altra forza politica, qualche vantaggio elettorale. Un’altra parte servirà come contropart­ita per accrescere l’intervento pubblico nell’economia. Infine, la parte che, in assenza di contropart­ite e altri frutti avvelenati, potrebbe ridare immediatam­ente slancio al sistema delle imprese tarderà molto ad arrivare a causa dell’inefficien­za dell’amministra­zione pubblica. Forse, quando fra qualche anno sarà possibile fare un bilancio, si scoprirà che la ripresa economica, che oggi auspichiam­o, sarà stata resa possibile soprattutt­o dalla capacità delle imprese, o di una parte di esse, di ristruttur­arsi autonomame­nte riprendend­o forza e slancio. A dispetto dei santi. C’è comunque da sperare che vinte certe ottuse opposizion­i ideologich­e, sia almeno possibile (come ha scritto Maurizio Ferrera sul Corriere di ieri) fare ricorso ai fondi del Mes per migliorare le nostre strutture sanitarie.

È vero, per un cinquanten­nio (durante la cosiddetta Prima Repubblica) c’era un’amplissima economia pubblica, statale. Era l’epoca detta dell’economia mista. Ciò nonostante, mantenemmo nello stesso periodo una sia pure malandata democrazia. Come mai? La risposta è che c’era la guerra fredda e noi eravamo ancorati al blocco occidental­e. Conservamm­o democrazia e libertà non per merito nostro ma in ragione delle condizioni internazio­nali dell’epoca. Quelle condizioni non ci sono più. Gli ancoraggi si sono indeboliti. E, con essi, i freni inibitori. Come mostra il fatto che, stando ai sondaggi, ci sono ormai in questo Paese estese simpatie per le potenze autoritari­e, Russia e Cina.

Nelle nuove condizioni tornare al passato, alla famosa «economia mista», non significa soltanto mettere a rischio o quanto meno comprimere le libertà economiche. Significa fare la stessa cosa anche con le altre libertà. Nessuna esclusa.

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