L’hotel che fa il pieno di tedeschi «Nessuna paura, qui è casa nostra»
Il caso del Cavalieri Palace. I volti e le testimonianze Il titolare commosso: sono il messaggio più positivo
delle persone». Lei aggiunge che «basta solo un po’ di attenzione e si può fare tutto». Che cosa l’ha colpita di più in questi mesi di coronavirus? «I camion militari carichi di morti» dice anche lei come quasi tutti gli ospiti che rispondono a questa domanda. «Avevamo paura che potesse accadere anche a noi in Germania».
Ogni volta che sente quelle due parole — camion, bare — Antonio vigolo scuote la testa. «Quell’immagine è stata devastante psicologicamente e, come vede, non soltanto per noi che su quei mezzi avevamo i nostri morti. Per tutti. Era la realtà e non si poteva certo ignorarla ma è anche vero che davanti a una cosa così forte un turista ci pensa due volte prima di prenotare in Italia...».
I tedeschi arrivati al Cavalieri
Palace in questi giorni ci hanno pensato, sì. Ma hanno deciso di guardare oltre, di andare incontro all’estate come avrebbero fatto senza il virus.
«Loro sono il nostro più grande messaggio positivo» è convinto il proprietario, «e spero davvero che la loro presenza diventi buon esempio. Pensi che fine gennaio avevamo per la stagione estiva +24% di prenotazioni rispetto all’anno scorso... Non ho potuto riaprire con tutti i 32 dipendenti che ho, chi è rimasto a casa chiama ogni giorno per sapere come andiamo. A me piange il cuore non potergli dire di presentarsi al lavoro e quindi vedere che c’è un po’ di movimento mi fa sperare. Vorrei dare coraggio a loro e ai miei colleghi che sono ancora chiusi, lo stesso coraggio che dimostrano i tedeschi venendo qui».
Il primo check-in in lingua tedesca è stato (lunedì 3 giugno) per la famiglia Marinoff, in arrivo da Stoccarda: Klaus con la moglie Perfidia, i figli Karoline e Patrick, la nuora Kostanze, e i nipoti Max e Tristan. Tornando a casa, ieri, il capofamiglia ha salutato Antonio Vigolo con parole «che mi hanno commosso», racconta lui. Gli ha detto: «Non si può impedire alla gente di tornare a casa, e per noi questa è casa».
Un altro capofamiglia, Sascha Boeck — vita, casa e lavoro in Baviera — ha chiamato per annunciare che «noi arriviamo in sei appena aprite», e così hanno fatto.
Il telefono della reception ha ripreso a suonare. Due le domande frequenti dall’altro capo del filo: quali sono le distanze fra ombrelloni? Oppure: dividete le sdraio con il plexiglas? Giacomo, il figlio di Antonio Vigolo, spiega con pazienza che ogni ombrellone ha a disposizione 16 metri quadrati (ben più degli almeno 12 richiesti) e che «no, guardi. Quella soluzione del plexiglass non l’abbiamo mai nemmeno considerata». Se potesse dirla proprio tutta aggiungerebbe che era solo un’idea bizzarra. Oscena.