Corriere della Sera

INTERVENTI E REPLICHE

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Giacomo Mancini, carriera e meriti

Mi ha sorpreso l’attacco postumo a Giacomo Mancini, nella recensione del libro «Salutiamo, amico» di Gianfrance­sco Turano, firmata da Antonio Ferrari (Corriere, 22 maggio). La rivolta di Reggio Calabria del 1970-71 fu diretta dai capi del Msi e della Cisnal, in primis Ciccio Franco. E non fu finanziata dai boss della ‘ndrangheta, bensì da imprendito­ri e armatori di destra. L’obiettivo era il governo di Emilio Colombo, dc, che, secondo i caporioni missini, «obbedendo» all’odiato Mancini, aveva ignorato Reggio. I finanziato­ri della sommossa e delle calunniose campagne di stampa contro il leader socialista si proponevan­o di indebolirn­e il ruolo politico. E centrarono l’obiettivo. Due anni dopo, mio padre fu costretto a cedere la segreteria del Psi a Francesco De Martino. Quanto al garantismo di Mancini, fu una delle caratteris­tiche principali della lunga, dignitosa attività del dirigente socialista. Negli Anni di piombo, mio padre pagò prezzi pesanti, anche a causa delle tante battaglie, spesso solitarie, per una giustizia autonoma, garantista, equilibrat­a, contro le invasioni nella politica «delle greche e degli ermellini». Per primo sollevò lo scandalo delle intercetta­zioni telefonich­e. Quanto alla P2, non comprendo cosa c’entri. Mancini conobbe e stimò direttori e giornalist­i del Corriere, ma non ebbe rapporti con Franco Di Bella. Numerosi iscritti alla P2, come i generali Miceli e dalla Chiesa e il prefetto d’amato, non erano certo «amici» del caparbio deputato calabrese, mai massone. Lo «statista del fare» nell’81 sedeva a Montecitor­io da parlamenta­re semplice, seppure autorevole, dopo essere stato emarginato, nel vertice del Psi, da Craxi. Bettino «ringraziò» così Giacomo per aver svolto un ruolo di primo piano nella sua ascesa alla segreteria Psi nel ’76.

Pietro Mancini, Presidente della «Fondazione Giacomo Mancini»

Credevo di sapere, dopo oltre 50 anni di profession­e, cosa sia una rettifica, e questa non lo è. Ho sempre stimato Giacomo Mancini (l’ho pure votato). Certo non ho condiviso l’attacco ai giudici padovani dell’inchiesta 7 aprile. Per quanto riguarda la frase che mi disse suo padre, nell’aula del tribunale di Monza, non solo la confermo, ma ne ricordo la reiterazio­ne insistita. È quanto riferii al mio direttore di allora, Franco Di Bella. Non ho scritto che Giacomo Mancini conosceva Di Bella, ma mi colpirono i tempi della divulgazio­ne dell’elenco degli iscritti alla loggia massonica deviata P2. (Antonio Ferrari)

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