Cinema gratis all’aperto Il «no» dei distributori
Decine di iniziative dei giovani ostacolate dai grandi distributori
L a lillipuziana metropoli di Gualdo, frazione di trenta anime del popoloso (345 abitanti!) municipio di Castelsantangelo sul Nera, tra i monti Sibillini umbromarchigiani, non ospiterà in estate la proiezione di un film in piazza: farebbe concorrenza al più vicino cinema dei dintorni, due ore andata ritorno.
I ragazzi dell’associazione Furgoncinema, che l’anno scorso avevano girato le aree terremotate delle Marche fermando il furgone (prestato dalla Cgil), sistemando le sedie (prestate), piazzando il proiettore e lo schermo (prestati dall’università di Camerino) in contrade fuori mano e bastonate dal sisma, hanno il morale sotto i tacchi.
Si sono visti rifiutare infatti praticamente tutti i film (non nuovissimi, come In guerra per amore di Pif) con cui volevano donare ai cittadini delusi dalla ricostruzione qualche momento di distrazione dal sapore antico. Basti ricordare gli antichi teatrini dei pupi o i cinema dei borghi più isolati dove gli spettatori arrivavano portandosi sulla testa le seggiole impagliate da casa. Ricordi dolci per tanti. A partire da Bernardo Bertolucci, che all’aperto, a Forte dei Marmi, vide il suo primo film, Biancaneve e i sette nani: «Il cinemino all’aperto era sempre pienissimo. Mio fratello ricorda che nei momenti in cui il film faceva un po’ paura mio padre gli metteva davanti il suo panama; e a Giuseppe l’odore di quel cappello dava il senso del cinema».
Altri tempi. Quei cinematografi all’aperto, magari con la macchina parcheggiata, che come spiega Maurizio Stefanini videro il loro battesimo nel ‘33 a Pennsauken, vicino a Philadelphia, grazie a un grossista di ricambi d’auto che non sapeva come portare al cinema la madre sovrappeso, erano via via tramontati. Con qualche sussulto trionfale, come nelle Estati Romane dell’assessore Renato Nicolini. Ed è davvero un peccato vedere come oggi, nei giorni di ripartenza dopo mesi di una quarantena da incubo per i claustrofobici, si sia acuita la frattura fra chi di cinema vive.
Di qua le associazioni dei produttori, dei distributori, degli esercenti messi in ginocchio dal lockdown che ha fatto chiudere tutte le sale del paese, con gravi perdite e problemi di gestione dei dipendenti, degli affitti, della concorrenza dei film in tivù... Di là le associazioni culturali convinte che per riportare al cinema le persone via via impigrite dal divano di casa non basti offrire loro l’ultimo prodotto hollywoodiano ma sia più utile coinvolgere tutti in una dimensione diversa. Più comunitaria. Come accade appunto col rilancio in anni recenti di certe arene all’aperto. Dove stare «insieme».
Uno scontro che va avanti da tempo. Ma soprattutto dopo il successo dei giovani promotori (accompagnati presto da altri ragazzi con progetti simili sparsi per l’italia), del Piccolo Cinema America di piazza San Cosimato. Benedetto dalla partecipazione di autori e registi celeberrimi di ogni dove, arrivati a Trastevere per celebrare appunto una nuova effervescenza. Il tema è riassunto in una lettera del maggio 2018 dell’anec (Associazione nazionale esercenti cinematografici) laziale alle Case di Distribuzione e ai Direttori Commerciali: «Esprimiamo assoluta e ferma contrarietà a qualsiasi tipo di manifestazione cinematografica che prevede ingressi gratuiti, a maggior ragione per quelle Arene estive annunciate in zone in cui sono presenti Cinema al chiuso che restano attive anche nel periodo estivo». Punto.
Una ostilità ribadita più volte. Anche con una lettera congiunta di «disappunto e contrarietà» firmata insieme con l’anica, l’associazione delle industrie cinematografiche presieduta da Francesco Rutelli, e inviata al ministero per i Beni Culturali, alla Regione e a Roma Capitale. Va da sé che, via via che il business del cinema perdeva quote (fino a toccare in quel 2018 il minimo storico) e gli animatori del Piccolo America la spuntavano in varie battaglie politiche e giudiziarie (l’ultima ieri, al Tar del Lazio), la spaccatura è diventata sempre più profonda.
Il coronavirus ha dato il taglio finale. Di qua produttori, esercenti e distributori furenti per il mancato divieto alle arene gratuite a Roma (in piazza San Cosimato e in due periferie a rischio: al porto turistico di Ostia requisito alla criminalità e concesso dal Tribunale e alla Cervelletta a Tor Sapienza), al Giambellino a Milano, in Calabria e nelle
Marche terremotate. Lasciar aperte in questo momento le arene gratuite, secondo ad esempio Piera Bernaschi, presidente Anec del Lazio, «è uno schiaffo in faccia e un insulto a tutti gli esercenti romani che stanno affrontando una situazione drammatica».
Durissima la risposta dei promotori delle iniziative territoriali, con in testa Valerio Carocci del Piccolo America: «Noi costiamo in tutto 600 mila euro: 300 di contributi pubblici statali e regionali, 300 raccolti da sponsor privati. E portiamo al cinema gratuitamente centomila cittadini l’anno. Pagando regolarmente ai distributori i compensi pattuiti. Tra i 55 mila e gli 80 mila euro. Per fare un esempio: proiettare Sinfonia d’autunno di Bergman, film stupendo del ‘78 ma impossibilitato a fare qualunque concorrenza a un Men in Black III, pagammo 1.220 euro. Insomma, non c’è stato mai regalato niente.
Questa guerra non ha senso. La sola regione Lazio ha già dato, per le sole sale laziali, 640 mila euro. Più 9 milioni per le produzioni. Per non dire dei 245 milioni al cinema e al teatro (40 per le sale) più tutto il resto dal Mibact.
Vogliamo fare paragoni? Eppure rischiamo di non poter aprire perché, dopo aver accettato già tre anni fa di non proiettare film della stagione corrente ci è stata fatta una guerra totale. A partire proprio dalla Rai, che pure è pubblica e dovrebbe essere aperta a chi offre cultura gratuita senza mettersi in concorrenza con i film appena usciti».
Centoventi film su 140 rifiutati ai giovani di Piccolo America (compreso Freaks, di Tod Browning, del 1933!), 42 su 44 rifiutati ai ragazzi del Furgoncinema che girano le zone terremotate, 50 su 50 ai promotori del piccolo ma
Film d’essai
«Come si fa a pensare che un film di Bergman possa fare concorrenza a Man in Black III?»
prezioso festival del cortometraggio La Guarimba di Amantea, nonostante neppure uno fosse recente e potesse dare fastidio ai cinema più vicini, a Lamezia o Cosenza.
E allora ti chiedi: ma davvero, proprio adesso, in questo paese che dopo tante chiusure chiede solo di aprire, respirare, prendere aria, le arene all’aperto rischino di non aprire più? Davvero la sopravvivenza del cinema italiano dipende da qualche proiettore sistemato in poche piazze sparse qua e là? Mah...