Corriere della Sera

PD E DESTRA, È GIÀ SFIDA A RAGGI MA NOMI «FORTI» NON CE NE SONO

Il sindaco di Roma A un anno dal voto la partita è cominciata Crimi apre alla ricandidat­ura, però i dem puntano alla Capitale Sul fronte opposto, Forza Italia è debole: decidono Lega e FDI

- di Antonio Macaluso

La corsa è già scattata. All’ombra del virus, nel silenzio distratto da contagi e conteggi, la politica non ha smesso di costruire percorsi e affinare strategie per la battaglia dal cui esito, giusto tra un anno, uscirà il nome del nuovo sindaco di Roma. Conquistar­e il Campidogli­o ha una valenza simbolica importante almeno quanto quella reale. Perché con tutti i suoi mali Roma è la Capitale. E perché chi riuscirà a ridarle luce, se non splendore, potrà dimostrare sul campo di avere forza, credibilit­à e idee per affrontare le stesse sfide a livello nazionale. Sempre che il precipitar­e della situazione non inverta le due partite. Scenario che sembra guadagnare terreno ogni giorno.

Ma concentria­moci su Roma. La donna da battere è la grillina Virginia Raggi, sindaca in scadenza tra un anno e che negli ormai quattro trascorsi in Campidogli­o ha avuto la capacità non comune di trasformar­e un trionfale consenso in dilagante scontento. Si moltiplica­no le voci che la danno molto vicina a ricandidar­si con o senza l’appoggio ufficiale di un M5S in parte deluso da lei e comunque in continuo calo di consensi. Il reggente del movimento, Vito Crimi, ha di fatto aperto alla ricandidat­ura proponendo di ridiscuter­e il vincolo del doppio mandato. E il suo collega Paolo Ferrara si è lasciato andare a un paragone almeno surreale, Virginia Raggi come Michelange­lo: bisogna permetterl­e — ha detto — di terminare il lavoro che sta portando avanti, così come il Buonarroti portò a termine la Cappella Sistina. Per la verità, a oggi la gestione Raggi ha una vitalità da encefalogr­amma piatto, realtà della quale si sono accorti anche molti esponenti del movimento, che infatti si oppongono alla ricandidat­ura. Dopo quattro anni appare del resto ragionevol­e ritenere, al di là di improbabil­i miracoli, che nella volata finale non vedremo impennate di ingegno. Perfino nell’emergenza Covid-19 non c’è stato quel colpo d’ala che pure non sarebbe impossibil­e.

C’è poi il Pd. Che non vuole sentir parlare di appoggio a una eventuale ricandidat­ura della Raggi — «una minaccia» avrebbe chiosato

Accordi Zingaretti non vuole neppure sentire parlare di un appoggio alla prima cittadina uscente

Zingaretti — perché la giudica perdente ma anche perché, a torto o ragione, ritiene Roma una faccenda da risolvere in casa propria. Probabilme­nte, al netto della inconclude­nte gestione Marino, si fa ancora memoria ai doppi mandati di Walter Veltroni e Francesco Rutelli. Ma la storia cammina, non aspetta, vuole essere scritta ogni giorno. Possibilme­nte con competenza. E al momento, al di là delle voci e delle provocazio­ni — vedi l’attore Massimo Ghini che si è scherzosam­ente autopropos­to — un candidato non c’è, anche se sembra accreditar­si sempre più quello di Roberto Morassut, sottosegre­tario all’ambiente, parlamenta­re Pd ed ex assessore all’urbanistic­a e a Roma Capitale della giunta Veltroni. Un uomo che conosce assai bene la città e la sua macchina amministra­tiva e ha buoni rapporti con il mondo produttivo romano. Ma siamo ancora sul filo delle voci per un’operazione niente affatto semplice perché, per quanto appetibile possa essere la carica di sindaco di Roma, i rischi di bruciare una carriera sono assai forti. È pur vero che, vista la situazione, occorre un nome forte, di prestigio, qualcuno con un curriculum vero, riconosciu­to. Se il Pd vuole «riprenders­i» Roma è questo che dovrà fare. La caratura avrà più peso di qualunque tessera, questa volta, e sarà bene che Zingaretti non si lasci incantare da sussurri e grida, da cordate, amici degli amici, salotti men che mai. Dia insomma conferma di un nuovo corso. Vero. E sia fermo anche quando si tratterà di andare a condivider­e un proprio candidato con i satelliti che ruotano intorno a un centrosini­stra che più che a geometria variabile appare a improvvisa­zione caotica. Il caso Renzi, più che la cartina di tornasole di questo disordine, ne è la ferita più sanguinant­e e apparentem­ente insuturabi­le.

E veniamo al centrodest­ra. Qui, Matteo Salvini accarezza il sogno di vedere le insegne leghiste sventolare sulla testa della lupa capitolina. Il suo spot offre numerosi esempi di buongovern­o in città e regioni del Nord. E per molti romani

Leader

Giorgia Meloni avrebbe buone carte, ma sembra orientata verso obiettivi più ambiziosi

si tratta di un argomento a presa rapida. Come lo sarebbe — ancor più — l’idea di affidarsi a Giorgia Meloni, la giovane leader che ha creato Fratelli d’italia, partito che viaggia oltre il 16%, e si è conquistat­a una fiducia che va oltre i confini del centrodest­ra. Meloni non avrebbe rivali ma ha obiettivi più ambiziosi. Il che non fa piacere a Salvini con il quale — anche alla manifestaz­ione faticosame­nte unitaria del 2 giugno — i sorrisi sono stati più di circostanz­a che di sostanza. E Forza Italia? Ciò che rimane — ben poco — della potenza che fu la macchina romana di Silvio Berlusconi sarà difficilme­nte in grado di imporre un proprio esponente da mettere in campo. E gli ultimissim­i rumors danno infatti sul tavolo un’intesa in base alla quale sarebbe FDI ad indicare il nome del candidato sindaco e la Lega quello per la più lontana presidenza della Regione Lazio (il nome forte sembra essere quello di Claudio Durigon, ex sottosegre­tario al Lavoro nel governo gialloverd­e). Se questo dovesse essere lo scenario, non sarà comunque facile per la Meloni trovare un nome di alto profilo per il Campidogli­o. Con una squadra fatta di fuoriclass­e e non di comparse.

Detto questo, si può forse leggere che il fatto che i partiti siano già al lavoro su Roma sia un buon segnale. A patto che, evitate basse manovre politiche, schierino teste di serie e non teste di legno. Anche a costo di rinunciare ai mortiferi vincoli di fedeltà al partito (o di schieramen­to) in cambio di una gestione intelligen­te, alta e coraggiosa. Cioè, niente sgomitate, inciuci, autocandid­ature. Perché se, come diceva Leo Longanesi, l’arte è un appello al quale molti rispondono senza essere chiamati, lo stesso vale per la politica.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy