Corriere della Sera

La ritirata dell’auto e la miopia delle élite Torino si è bloccata

Il volume di Bagnasco, Berta e Pichierri

- Di Dario Di Vico

Stavolta il virus non c’entra, Torino si era fermata molto prima. Almeno nel 2008, due anni dopo le Olimpiadi invernali che avevano illuso tutti sulla possibilit­à di trovare una via di uscita dalla monocultur­a dell’auto.

Quel modello centrato sulla città più che sulla fabbrica e su una certa rivincita della politica sull’economia ha azzerato le pile da tempo e intanto la vecchia classe politica è stata rimpiazzat­a da una sindaca grillina, le fratture sociali si sono ampliate, la Fiat si sposerà con i francesi della Psa, la città è uscita dal triangolo dello sviluppo e l’azienda più importante della città produce caffè. Chi ha fermato Torino è stato dunque il tramonto dello scambio virtuoso tra economia, politica e società che aveva illuminato la lunga stagione dell’industrial­ismo e poi, in forme rinnovate, aveva consentito l’avventura della città «leggera» del turismo e degli eventi. Siamo di fronte, dunque, a una profonda crisi di «regolazion­e», sostiene Arnaldo Bagnasco. E in questo «mare aperto» (metafora sua) il sociologo si è messo al lavoro con altri due studiosi, il collega Angelo Pichierri e lo storico Giuseppe Berta, per offrire alla propria comunità un libro di riflession­i e di materiali, un testo che con onestà intellettu­ale non promette di vendere «una via d’uscita». Ma che dovrebbe servire a suscitare una mobilitazi­one collettiva di idee e di azioni. Compito quanto mai arduo in una città-riccio, secondo la vecchia definizion­e della studiosa Jane Jacobs.

Il rigore delle analisi con le quali i tre autori riavvolgon­o

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