La ritirata dell’auto e la miopia delle élite Torino si è bloccata
Il volume di Bagnasco, Berta e Pichierri
Stavolta il virus non c’entra, Torino si era fermata molto prima. Almeno nel 2008, due anni dopo le Olimpiadi invernali che avevano illuso tutti sulla possibilità di trovare una via di uscita dalla monocultura dell’auto.
Quel modello centrato sulla città più che sulla fabbrica e su una certa rivincita della politica sull’economia ha azzerato le pile da tempo e intanto la vecchia classe politica è stata rimpiazzata da una sindaca grillina, le fratture sociali si sono ampliate, la Fiat si sposerà con i francesi della Psa, la città è uscita dal triangolo dello sviluppo e l’azienda più importante della città produce caffè. Chi ha fermato Torino è stato dunque il tramonto dello scambio virtuoso tra economia, politica e società che aveva illuminato la lunga stagione dell’industrialismo e poi, in forme rinnovate, aveva consentito l’avventura della città «leggera» del turismo e degli eventi. Siamo di fronte, dunque, a una profonda crisi di «regolazione», sostiene Arnaldo Bagnasco. E in questo «mare aperto» (metafora sua) il sociologo si è messo al lavoro con altri due studiosi, il collega Angelo Pichierri e lo storico Giuseppe Berta, per offrire alla propria comunità un libro di riflessioni e di materiali, un testo che con onestà intellettuale non promette di vendere «una via d’uscita». Ma che dovrebbe servire a suscitare una mobilitazione collettiva di idee e di azioni. Compito quanto mai arduo in una città-riccio, secondo la vecchia definizione della studiosa Jane Jacobs.
Il rigore delle analisi con le quali i tre autori riavvolgono