Scene da un matrimonio di provincia Françoise Sagan, il romanzo ritrovato
Esce dopodomani per Solferino «I quattro angoli del cuore». Eccone un estratto «I quattro angoli del cuore», l’ultimo lavoro, inedito, di un’autrice di culto
Il terrazzo della Cressonnade, incorniciato da quattro platani e provvisto di sei panchine verde scuro, era maestoso. L’edificio un tempo probabilmente era una bella e antica casa di provincia, ora non era più bella e nemmeno antica. Impreziosita in tempi recenti da minareti, scale a cielo aperto e balconi di ferro battuto, metteva insieme due secoli di un cattivo gusto costosissimo, che snaturava il sole, gli alberi, il grigio della ghiaia e il verde circostante. La scalinata d’ingresso, formata da tre gradini grigi e squadrati, era fiancheggiata da una balaustra in stile medievale, che era forse il non plus ultra della mostruosità.
Ma le due persone sedute su una panchina, lì di fronte, ognuna a un’estremità, non sembravano curarsene. Spesso la bruttezza è più facile da guardare della bellezza o dell’armonia, che ammiriamo e su cui vigiliamo continuamente. In ogni caso Ludovic e sua moglie Marie-laure sembravano del tutto indifferenti a quella cacofonia architettonica. Inoltre non guardavano la casa, né si guardavano l’un l’altra, ma si limitavano a fissarsi le punte dei piedi. Ora, indipendentemente dalla bellezza delle loro scarpe, le persone che non alzano lo sguardo né su un volto né su un paesaggio hanno senz’altro qualcosa che non va. «Non hai freddo?». Marie-laure Cresson si era girata verso suo marito con aria interrogativa. Con un viso grazioso, due vivaci occhi dai riflessi violetti, una bocca leggermente compunta e un naso perfetto, aveva sedotto molti uomini prima di sposarsi, in modo piuttosto precipitoso del resto, con un bel giovane vigoroso e sano di nome Ludovic Cresson, un po’ playboy e un po’ sempliciotto, conteso tra tutte le ragazze del XVI arrondissement per il suo patrimonio e il suo buon carattere. Benché notoriamente andasse pazzo per le donne, Ludovic Cresson sarebbe stato un marito fedele, su questo non c’era alcun dubbio. Purtroppo però tutte le sue buone qualità, fatta eccezione per i soldi, si sarebbero trasformate in difetti agli occhi di
Marie-laure. Sofisticata, poco istruita, ma con una parvenza di cultura ottenuta grazie a un misto di letture di testi in voga, di tabù e di scorciatoie varie, si era costruita nel suo ambiente la reputazione di un’intelligenza pronta e perfettamente alla moda. Voleva essere padrona della propria esistenza, e quindi di quella degli altri, voleva «vivere la sua vita», come diceva lei. Ma non sapeva cosa fosse la vita né cosa volesse veramente, lusso a parte. In realtà desiderava solo essere accontentata in ogni suo capriccio. Avrebbe saputo ostentare appieno il valore dei suoi gioielli e il patrimonio, quale che fosse, di Henri Cresson, il padre di Ludovic
(soprannominato nella sua cara Turenna natale il «Rapace avvoltoio»).
Non spiegheremo — perché sono ovvie — le ragioni per le quali «La Cressonnade» — ossia la vecchia fabbrica e i vecchi muri della casa — si chiamasse così. Sarebbe, invece, ben più complicato, e più noioso ancora, spiegare perché i Cresson avessero fatto fortuna proprio con il commercio del crescione, dei ceci e di altri ortaggi che oggi inviavano ai quattro angoli del mondo. Questo argomento decisamente poco interessante richiederebbe, almeno all’autore, più immaginazione che memoria.
«Hai freddo? Vuoi il mio maglione?». La voce dell’uomo che sedeva accanto a Marie-laure suonava naturale, gentile e dolce, eppure, considerata la futilità della domanda, tradiva un eccesso di apprensione e vulnerabilità. La giovane donna sbatté le ciglia e girò la testa dall’altra parte, mostrando una specie di vago disprezzo per il maglione del marito (a cui aveva dato una rapida occhiata). «No, grazie, vado dentro, è più pratico. E dovresti venire anche tu. Non è il caso di beccarsi una bronchite, proprio ora».
Si alzò e s’incamminò con passo tranquillo verso la casa, facendo scricchiolare la ghiaia sotto le scarpe all’ultima moda. Anche in campagna, anche quando era da sola, Marie-laure era sempre elegante e up to date.
Suo marito la guardò con un misto di ammirazione… e di diffidenza.
Va detto che Ludovic Cresson era stato appena dimesso dall’ultima di una serie di cliniche, dove era stato ricoverato in seguito a un terribile incidente d’auto, così catastrofico, così traumatico, che nessun medico, nessuna innamorata avrebbero mai potuto sperare che sopravvivesse.
Con Marie-laure alla guida, la piccola auto sportiva che lui le aveva regalato per il compleanno si era incastrata in un camion in sosta e il posto del passeggero era stato letteralmente trapassato dalle lame d’acciaio che il camion trasportava. La testa di Ludovic era uscita miracolosamente illesa da quell’ammasso di lamiere, almeno dal punto di vista estetico, e se Marie-laure non aveva subìto alcun danno né al viso né al corpo, quello di Ludovic invece era stato dilaniato in più punti. Era entrato in coma e i medici avevano previsto che in capo a uno, massimo due giorni, se ne sarebbe andato all’altro mondo.
Solo che, protetti da quella specie di fortezza naturale (che era il suo corpo), i polmoni, le spalle, il collo e tutti gli organi che conferivano a quel giovanotto ingenuo un’ottima salute esterna e interna si erano dimostrati ben più scaltri e combattivi di quanto si potesse immaginare. Mentre già si pensava al funerale e alla musica per la cerimonia, mentre Marie-laure si preparava a indossare i panni della vedova sobria ed elegante (molto semplice e con un inutile cerotto sulla tempia), mentre Henri Cresson, furibondo nel veder fallire uno dei suoi progetti, prendeva a calci qualsiasi cosa gli capitasse a tiro e insultava i suoi dipendenti, mentre sua moglie Sandra, la matrigna di Ludovic, ostentava la sua solita ed esasperante alterigia di malata spesso costretta a letto, Ludovic aveva lottato. E dopo otto giorni, nello stupore generale, era uscito dal coma.
Si sa, alcuni medici tengono di più alle loro diagnosi che ai pazienti. Ludovic fece saltare i nervi a tutti i luminari che Henri Cresson aveva fatto venire (più che altro per abitudine) da Parigi e da altri posti. L’estrema facilità con cui era praticamente risuscitato li infastidì a tal punto che finirono per trovargli qualcosa di serio alla testa. Tanto bastò, insieme al suo silenzio, perché decidessero di tenerlo sotto osservazione, e poi di trasferirlo in una clinica specializzata. Aveva la mente offuscata, per cui sembrò poco ricettivo e perfino ritardato; e la perfetta condizione fisica, la salute di cui godeva il suo corpo non facevano che rafforzare quell’impressione.
Ragazza alla moda «S’incamminò verso la casa. Anche da sola, anche in campagna, era sempre elegante»