Quando 80 anni fa Mussolini dichiarò la guerra
Da oggi con il «Corriere» un volume di Antonio Carioti e Paolo Rastelli sul periodo 1940-1943 Ottant’anni fa l’azzardo irresponsabile di combattere al fianco di Hitler
«Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria…». Alcuni nostri genitori conoscevano a memoria il discorso con cui il Duce del fascismo nel pomeriggio del 10 giugno 1940, ottant’anni fa, annunciò l’entrata in guerra dell’italia dal balcone su piazza Venezia davanti a una folla plaudente. Un discorso che trasudava retorica, ma era privo di vera sostanza politica, con il datato riferimento alle sanzioni per la guerra d’africa conclusa da quattro anni. Più che la guerra degli italiani era La guerra di Mussolini, come si intitola il libro firmato da Antonio Carioti e Paolo Rastelli, due giornalisti del «Corriere della Sera» che già hanno dato valide prove nella divulgazione storica.
Con questo ricco volume i due autori, come osserva Marcello Flores nella prefazione, fanno fare un passo in avanti alla narrazione di vicende che, se non finite nel dimenticatoio o affidate alla memorialistica, vengono ormai relegate all’ambito specialistico, separando il racconto politico dall’analisi militare. Il discorso pubblico sulla Seconda guerra mondiale è concentrato in Italia soprattutto sul biennio della guerra civile, sulle vicende che vanno dall’armistizio (e dal cambiamento di fronte) dell’8 settembre 1943 alla Liberazione del 25 aprile 1945. C’è invece meno interesse complessivo, se non nella rievocazione di episodi singoli, per il triennio precedente, quello che va dal 10 giugno 1940 al 25 luglio 1943, giorno della destituzione di Mussolini. Eppure la notte drammatica del Gran Consiglio, così come le drammatiche e sanguinose vicende successive, non si capiscono senza conoscere le vicende che portarono alla «disfatta dell’italia fascista», come recita il sottotitolo del volume.
Il libro di Carioti e Rastelli, arricchendo lo schema seguito nel fortunato Alba nera, dedicato al 1919 e all’avvento del fascismo, offre quattro livelli di lettura. Carioti si è dedicato alla narrazione degli eventi e agli intrecci politici che quasi sempre prevalevano sulla soluzione dei problemi militari, mentre Rastelli ha fotografato in pagine di grande interesse la situazione delle tre armi, l’aeronautica, la Marina e l’esercito, al momento dell’entrata in guerra, rispondendo a una serie di domande cruciali. Quattro interviste a grandi specialisti come Emilio Gentile, Nicola Labanca, Andrea Santangelo e Maria Teresa Giusti offrono un articolato quadro interpretativo sui vari aspetti del conflitto. Infine una sezione dedicata ai documenti fa sì che questo sia un volume non solo da leggere, ma da custodire e consultare.
Perché, si chiede Rastelli, l’italia, che era il Paese di Giulio Douhet, il teorico del Dominio
dell’aria (libro del 1921), e di Italo Balbo, il trasvolatore dell’atlantico, alla prova dei fatti si era trovata impreparata e con gravi carenze tecnologiche e di addestramento? Perché la nostra Marina, che pure vantava un naviglio agli inizi nel Mediterraneo più potente della rivale britannica, non è stata vincente nel confronto bellico? Quanto ha pesato inoltre nella fallimentare conduzione della guerra una catena di comando in cui sembra che la maggiore aspirazione dei vertici fosse quella di nascondere le proprie responsabilità (e incapacità)?
Tuttavia le ragioni della disfatta, al di là dei singoli eroida smi italiani (sul fronte russo la carica a cavallo di Izbušenskij contro i sovietici, sul fronte nordafricano il valore dimostrato dai nostri soldati nelle tre battaglie di El Alamein), vanno trovate in pochi scarni numeri così riassunti Rastelli: «Allo scoppio della guerra avevamo il 2,7 per cento della capacità produttiva mondiale, il Giappone il 3,5, la Germania il 10,7, per un totale del 16,4 per cento. La coalizione avversaria, dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti, ne deteneva circa il 70 per cento».
Mussolini non poteva ignorare questi dati di fatto quando dichiarò guerra alla Francia e all’inghilterra, quando poi volle contribuire alla lotta contro l’unione Sovietica senza che l’alleato nazista agli inizi lo avesse sollecitato, o quando in maniera sciagurata dichiarò guerra agli Stati Uniti. La causa di tanta temerarietà è che l’ambizione politica del dittatore italiano, come emerge dal racconto di Carioti, prevalse sempre sulla considerazione realistica delle forze in campo.
Quando il 1° settembre 1939 Hitler invase la Polonia sfidando Gran Bretagna e Francia senza avvertire l’alleato italiano, Mussolini non era sicuro di voler entrare in guerra. Il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano aveva chiesto al suo omologo tedesco Joachim von Ribbentrop tre anni di non belligeranza, ma poi, anche sollecitato dal Duce, aveva firmato una cambiale in bianco, cioè il «Patto d’acciaio». Con le rapide affermazioni tedesche sul teatro europeo, Mussolini si convinse che doveva sacrificare alcune migliaia di morti per sedersi al tavolo della pace.
Sperava in una guerra breve e in una rapida vittoria. Non fu così. Per bilanciare lo strapotere nazista ancora una volta ragionò da politico, quando il 28 ottobre 1940, con la (fallita) invasione della Grecia, tentò la strada di una guerra parallela e si trovò invece sempre più dipendente dal forte alleato. Il dittatore credette di giocare di astuzia quando dichiarò guerra al colosso statunitense, pur sapendo che la sconfitta era sicura. Si illudeva di poter mediare tra Berlino e gli angloamericani. Una delle tanti illusioni che portarono alla disfatta e alla rovina del Paese.
La premessa
Il Duce nel maggio 1939 firmò ai nazisti una cambiale in bianco: il Patto d’acciaio