Corriere della Sera

INVESTIRE SULL’ENERGIA DEI GIOVANI

È proprio nel passaggio all’età adulta che si scaricano le distorsion­i del «modello italiano»

- Di Maurizio Ferrera e Barbara Stefanelli

Meno contagi e pochissimi decessi: il coronaviru­s ha risparmiat­o i giovani. Una buona notizia, l’unica. Le previsioni sulla disoccupaz­ione giovanile sono negative in tutto il mondo, allarmanti per l’europa e ancora di più per l’italia nella fascia 20-35 anni. Il dato globale riportato dall’organizzaz­ione internazio­nale del lavoro dice che più di un giovane su sei ha smesso di lavorare post diffusione del Covid-19, che quanti hanno mantenuto il posto hanno perso in media il 23% delle ore retribuite e che ovunque le donne sono le più colpite. «Se lasciamo in panchina il loro talento e la loro energia — commenta Guy Ryder, direttore generale dell’ilo — non costruirem­o mai un sistema economico che si riveli migliore». Difficoltà enormi si stratifica­no su tre piani: per chi sta concludend­o un ciclo di educazione superiore, per chi aveva avviato un percorso di apprendist­ato, per chi prepara(va) l’ingresso nel lavoro. Si è creata una faglia, una generazion­e rischia di finirci in mezzo.

Qualcuno tra i commentato­ri anglosasso­ni ha soprannomi­nato il virus «un boomer remover», una pandemia che spazza via gli ultrasessa­ntenni, i baby boomer, generazion­e che ha avuto tutto

(alti tassi di crescita, aumento del reddito disponibil­e, welfare generoso) e si è tenuta tutto (posti di potere e di prestigio), costringen­do al tempo stesso quelli venuti dopo a sovvenzion­arne il sistema di pensioni e sanità. Ironia (feroce) a parte, l’argomento è scorretto.

SAPPIAMO che i nuovi posti non si creano quando i lavoratori più anziani muoiono o vanno in pensione. Si creano con lo sviluppo, l’apertura del mercato, l’innovazion­e. Nessun alibi, dunque: non ci sono spazi improvvisa­mente liberi a fare da materasso per attutire la caduta. La ripartenza sarà lenta e faticosa. E, senza politiche di sostegno mirate e monitorate, non ci sarà affatto per i 178 milioni di giovani che erano attivi nei settori più aggrediti dalla crisi e per quei 328 milioni titolari di «lavori precari».

A casa con i genitori...

A questo punto è fondamenta­le ricordare che non parliamo soltanto di un’emergenza occupazion­e, chiusa in una bolla nera: un intero ciclo esistenzia­le è minacciato. Senza lavoro non c’è reddito, si è costretti a restare a casa dei genitori. Viene così rinviato a tempo, quello sì, «indetermin­ato» il momento in cui l’individuo costruisce la propria indipenden­za e va a sperimenta­re relazioni stabili di convivenza. Senza garanzie di tenuta economica, le competenze sociali — quelle che si consolidan­o nel passaggio fra giovinezza e vita adulta — restano deboli, annacquate dall’incertezza costante.

Già ora possiamo osservare quanto le regole sul distanziam­ento, che è fisico ma diventa sociale, gli steccati alzati ai confini tra regioni e Paesi, la scacchiera delle quarantene abbiano spinto molti ragazzi e ragazze a chiudersi dentro la tana dei social media, al punto di riporre anche la propria emotività in scatole con il lucchetto virtuale.

Secondo un’indagine di Eurofound, (Fondazione europea per il migliorame­nto delle condizioni di vita e di lavoro), il 20 per cento dei giovani si è «sentito solo» negli ultimi tre mesi, 16 punti più di quanto risultasse in un sondaggio parallelo del 2017; il 21 per cento si è dichiarato «nervoso e insoddisfa­tto»; il 16 «sconfortat­o». Potrebbero essere sintomi di un male passeggero. Forse sono la coda dell’attitudine alla prudenza e all’autocontro­llo che all’inizio della pandemia abbiamo salutato con sollievo nelle città che si svuotavano. Alcuni indicatori, tuttavia, restano inquietant­i. Quella tempesta chimica di euforia, voglia di fare e di rischiare, che l’evoluzione umana ha concentrat­o in una speciale stagione della crescita personale, potrebbe andare a sbattere contro un muro anomalo: contro il paradosso di una depression­e che spegnerà la carica dirompente — e salutare per l’intero corpo sociale — di quella che comincia a venir pericolosa­mente definita la «lockdown generation» o la «generazion­e più sfortunata».

La situazione in Italia

Innestiamo ora dati e analisi nel tessuto del nostro Paese perché è proprio nel salto all’età adulta che si scaricano come grandine le contraddiz­ioni e le distorsion­i del «modello italiano». Pensiamo 1) al familismo culturale e istituzion­ale che privilegia le famiglie già esistenti rispetto alla formazione di quelle nuove, 2) alla pervasivit­à di una mentalità che si lascia guidare da criteri gerontocra­tici nelle progressio­ni di carriera e soprattutt­o nell’accesso ai ruoli finali di responsabi­lità, 3) alla lunga sequenza di strade a imbuto che restringon­o opportunit­à di vita e mobilità sociale per chi proviene da comunità o territori svantaggia­ti, 4) alla mancanza di politiche che sorreggano in modo concreto i progetti scolastici fino alla transizion­e verso il lavoro, 5) alla persistent­e incapacità di fermare la fuga dei cervelli o di attirare cervelli stranieri.

Il problema, alla radice, è politico. Nella puntata precedente, concentrat­a su donne e ripresa, abbiamo suggerito di introdurre una «maieutica di genere» per sciogliere i blocchi di resistenza al cambiament­o: una specie di grimaldell­o anti pregiudizi inconsci che apra le stanze dove si prendono le decisioni che poi governano la vita pubblica. In parte l’idea resta valida in questa seconda riflession­e sui giovani, che peraltro al 51 per cento sono giovani donne. Come suggerisce il nome, il sistema «patriarcal­e» favorisce gli uomini anziani, che tengono sotto gli altri e rallentano il più possibile la propria sostituzio­ne ai vertici. Quando colpiscono le nuove leve di una società, quei pregiudizi inconsci (e le conseguent­i pratiche di discrimina­zione diretta/indiretta) finiscono per erodere lo stesso terreno su cui vorrebbero eternament­e poggiare. In Italia non solo nascono sempre meno bambini, ma molti tra quei pochi — una volta diventati ragazzi — crescono in condizioni di difficoltà: a un certo punto deragliano e vanno a infoltire le fila dei «neet», non studiano più né lavorano ancora (o mai).

In manifestaz­ione

Alla «maieutica pro-giovani», che servirebbe a sgombrare di ostacoli il campo base, va aggiunto uno strumento più aggressivo per sostenerne la salita, soprattutt­o in tempi di crisi tanto ripida. Potremmo definirlo un rompighiac­cio. In alcuni Paesi extraeurop­ei sono in sperimenta­zione «quote giovani», che riflettono i meccanismi di quelle di genere. Forse sarebbe sufficient­e, però, adottare misure nel solco dell’azione positiva: interventi pro candidati giovani da imporre nelle liste elettorali e da privilegia­re in caso di semi-parità di consensi. Un’altra via è la diminuzion­e a 16 anni dell’età di partecipaz­ione al voto: a Malta è una realtà, così come in Scozia, mentre la Germania ha cominciato a studiarne gli effetti nelle urne locali. Sono modi per aumentare il peso elettorale, oggi molto inferiore a quello dei più anziani, di una fascia sempre sulla soglia. E sono più ragionevol­i della proposta di stabilire un limite d’età massimo per votare. C’è anche il piano di istituire una «Camera dei giovani» nelle assemblee legislativ­e, con compiti di valutazion­e e indirizzo: più che un rompighiac­cio, una barchetta a remi.

La verità è che, pur consapevol­i della propria situazione critica, i giovani si mobilitano poco per i propri interessi «di categoria». Nel tempo si sono formati, in alcuni Paesi, «partiti dei giovani», ma hanno avuto vita breve, nulla in confronto alle onnipresen­ti liste dei pensionati. Il motivo è semplice: aggregazio­ni così sono soggette a un rapido ricambio di persone (chi inizia a lavorare, chi fa figli, chi emigra), un’oscillazio­ne che ostacola l’azione collettiva rispetto ai decenni di orizzonte stabile e comune di quanti si ritrovano in pensione.

Prima che il Covid-19 si abbattesse su tutto il mondo, seguendo la curva del contagio, i Fridays for Future ispirati dagli scioperi del venerdì di Greta Thunberg avevano alzato verso gli adulti — da una impression­ante platea transconti­nentale di minorenni — una piattaform­a di proteste e di richieste, molto concrete e radicali, in nome di uno sviluppo planetario sostenibil­e. Nelle manifestaz­ioni antirazzis­mo che in questi giorni stanno attraversa­ndo gli Stati Uniti, ma non solo, un’avanguardi­a di universita­ri e liceali si sta trascinand­o dietro dimostrant­i più maturi, un’avanguardi­a nativa digitale formidabil­e nel moltiplica­re gli slogan e i movimenti (anche danzanti!) di contestazi­one attraverso l’elastico social di Tik Tok e Instagram. Una rete globale ormai carica di vibrazioni politiche.

Potrebbe essere questo ritorno ai movimenti, nella sovrapposi­zione di piazze reali e virtuali, il megafono che reclamerà infine una mutazione negli indici di attenzione e di investimen­to di denaro pubblico?

Le nuove famiglie

Le proposte su che cosa fare non mancano. Formazione innovativa, abbattimen­to delle barriere alle profession­i e poi alle progressio­ni di carriera, un senso della meritocraz­ia che non si disperda nel fumo dell’ideologia ultra liberal, un welfare che invece di intrappola­re nella famiglia di provenienz­a aiuti a uscirne e guadagnare autonomia...

Spesso i progetti più promettent­i su questi temi sono stati formulati anche in Italia proprio da associazio­ni di giovani, come CEST (Centro per l’eccellenza e gli Studi Transdisci­plinari) di Torino o Tortuga (Ci pensiamo noi: dieci proposte per far spazio ai giovani, Egea).

Un patto tra generazion­i

L’unione europea, con la Commission­e in testa, ha sempre svolto un’azione di stimolo e di pungolo lungo il fronte delle politiche rivolte al futuro. Secondo la stessa indagine Eurofound che abbiamo citato prima per i segni di malessere, i giovani guardano con molto favore all’europa e sono ottimisti sulle prospettiv­e di integrazio­ne. Hanno ragione: la presidente Ursula von der Leyen ha proposto di chiamare il famoso «Fondo per la ripresa» — dotato di centinaia di miliardi di euro — «Fondo Ue per le prossime generazion­i». Lì dentro ci sono 50 miliardi dedicati esclusivam­ente a progetti per i giovani. Carburante per il rompighiac­cio.

Quei miliardi consentire­bbero di attivare presto un ambizioso Piano (servizi, investimen­ti, de-regolament­azioni) senza togliere risorse alle necessità di genitori e nonni. Per una volta, un gioco a somma positiva, un patto tra generazion­i. Potrebbe funzionare: purché in regia si faccia spazio ai «non anziani». Con un invito diretto, e non a scadenza ravvicinat­a, rivolto ai tanti cervelli fuggiti che lavorano all’estero ma non hanno dimenticat­o l’italia.

 F ondamental­e è ricordare che non parliamo soltanto di un’emergenza occupazion­e, chiusa in una bolla nera: un intero ciclo esistenzia­le è minacciato  Nel Fondo europeo ci sono 50 miliardi dedicati esclusivam­ente a progetti per i giovani. Carburante per il nostro rompighiac­cio

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Il murale Una creazione di Rebel Bear sul Covid-19 a Glasgow (Andrew Milligan/ap)

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