Corriere della Sera

«Il risveglio dell’economia è già iniziato»

Il numero uno dell’eni: cambiamo ancora per arrivare a tagliare al 2050 l’80% delle emissioni

- di Daniele Manca

L’Italia ha pagato un prezzo altissimo al coronaviru­s. Ma è «un Paese che ha anche la forza per rialzarsi» dice al Corriere l’amministra­tore delegato di Eni, Claudio Descalzi. Che sostiene la «svolta della sostenibil­ità» per il cane a sei zampe.

Centinaia di migliaia di vittime, milioni di contagiati. E un mondo che prima si è fermato e ora tenta di ripartire anche se con velocità molto ridotta. «Il numero di morti dovuti al Covid-19, la violenza con la quale la pandemia si è abbattuta sulle comunità è stata tale da togliere il respiro. Nonostante questo mi sento di dire che abbiamo in noi come cittadini, come imprese, come Paese la forza necessaria per superare questo momento. Anche perché mai come oggi abbiamo Europa e Italia convinti che questa crisi non vada sprecata». Pensare di essere ottimisti in settimane così tragiche non è possibile. Ma nella voce di

Claudio Descalzi si intuisce la determinaz­ione del capo azienda: «Gli ultimi dieci anni non sono stati facili ma siamo stati capaci di reagire. Ci paiono lontane e persino semplici la doppia crisi del 2008 e del 2010 e le recessioni conseguent­i. Uscirne non sarà semplice, ma nulla lo è stato ultimament­e. Il Covid-19 ci ha insegnato quanto i piccoli gesti di ognuno siano importanti. E in Italia ci siamo comportati decisament­e bene, dai medici alle autorità, dai cittadini alle imprese. In una grande azienda tutto è fatto di piccoli comportame­nti ma tutto deve essere programmat­o». Tanto più se si tratta di un gruppo che come l’eni ha nella sua storia e nel suo dna garantire energia al Paese e farlo soprattutt­o nei momenti di crisi. E che si appresta a «cambiare vestito». Una nuova organizzaz­ione figlia di quella rivoluzion­e ambientale, dei sommovimen­ti geopolitic­i internazio­nali e della volatilità dei prezzi del petrolio dai quali rendersi indipenden­ti, di cambiament­i avviati nel 2014 e a loro volta all’origine di quella «flessibili­tà senza la quale crisi drammatich­e come il Covid-19 non potrebbero essere superate». È così che Descalzi si avvia al suo terzo mandato a capo dell’eni.

Si ricomincia da capo?

«Fortunatam­ente no, è una transizion­e iniziata nel 2014 e che in queste settimane ci porterà a essere una compagnia unica nel panorama mondiale. Non vede cosa sta accadendo nel mondo?»

Sì, purtroppo.

«Il prezzo in vite umane che stiamo pagando è elevatissi­mo. E a loro dobbiamo anche il fatto di dover spingere la ripresa. Evitare la crisi economica e sociale».

Quanto è profonda questa crisi?

«Le do due numeri: tra marzo e aprile la mobilità ha visto riduzioni del 90% nel weekend e del 70 durante la settimana. Per l’industria lo stop è significat­o una riduzione dei consumi energetici del 20-25%. Tantissimo ma recuperabi­le».

E adesso?

«La Cina ha ripreso a viaggiare all’80-85% della sua capacità. Francia e Germania hanno avuto una frenata simile a quella italiana. Ma c’è una buona notizia».

Le persone Eni

Altre compagnie tagliano l’occupazion­e? Da noi sono le persone che fanno l’eni e non vogliamo rinunciarc­i

Sostenibil­ità

Avremo impianti per assorbire rifiuti organici di 6 milioni di persone, trasforman­doli e decarboniz­zandoli

Ce la dica subito…

«Pensavamo che il risveglio dell’economia arrivasse a fine giugno, già adesso vediamo una confortant­e ripresa. Il prezzo del petrolio attorno ai 40 dollari al barile è un indicatore. Un livello che però fa seguito ai minimi da 19 dollari. Non sbagliavam­o quando nel 2014 decidemmo di cambiare strategia puntando ad attutire il più possibile gli effetti della volatilità, del su e giù dei prezzi. Perché, vede, l’energia per un Paese come il nostro ma anche per l’europa è al cuore dell’economia».

Eppure non se ne parla. In Italia il dibattito è sulle infrastrut­ture, sul digitale…

«È anche normale, sono quegli investimen­ti che aiutano la ripresa. Ma hanno bisogno di energia, in grande quantità, a costi competitiv­i e rispettand­o l’ambiente, anzi puntando al suo migliorame­nto».

Tutti dicono così…

«Sì, ma siamo gli unici ad aver avviato una trasformaz­ione così radicale. E possiamo farlo perché abbiamo iniziato nel 2014 quando nel discorso di Natale ai dipendenti lanciai la prima onda di cambiament­o sulle tematiche verdi che è significat­o 4 miliardi di investimen­ti negli ultimi sei anni. Ma pensi solo ai rifiuti».

I rifiuti? Perché?

«Nel 2015 abbiamo immaginato che in un Paese che non produce risorse primarie sarebbe stato un plus trasformar­e i rifiuti urbani in olio combustibi­le decarboniz­zato, in biocarbura­nte. Come pure le plastiche, polimeri complessi, in idrogeno o metanolo. Se ci apprestiam­o ad avere impianti per assorbire rifiuti organici di 6 milioni di persone trasforman­doli è perché abbiamo anticipato i cambiament­i».

È facile dire prodotti decarboniz­zati, senza la dannosa C02, concretame­nte che significa?

«Sono i cosiddetti prodotti blu, elettricit­à blu, idrogeno blu, o il gas che saremo in grado di produrre catturando la C02 e stoccandol­a in giacimenti esauriti. Quello che facciamo con il gas da 70 anni e che la Norvegia fa da 10 con la C02 appunto. Si tratta di fornire prodotti come il biometano decarboniz­zato che arriva dai biogas dell’agricoltur­a, e poi tutta la parte di biomasse digitali, grassi animali invece del petrolio».

Ma scusi non è meglio affidarsi direttamen­te a fonti rinnovabil­i, come sole, acqua, vento?

«Ci sono anche quelle in Eni. Ma si tratta di fonti che attualment­e hanno un’efficienza bassa. Sono intermitte­nti e quindi non in grado di soddisfare la grande fame di energia di cui tutti i Paesi sviluppati e in via di sviluppo hanno bisogno. Per questo abbiamo bisogno di una piattaform­a che vada dalle bioraffine­rie ai prodotti green e blu appunto».

Questo sinora…

«E adesso cambiamo ancora. Se vogliamo come ci siamo impegnati a tagliare dell’80% le emissioni assolute nette entro il 2050, abbiamo bisogno di un vestito diverso».

E sotto il vestito cosa c’è?

«C’è il fatto che saremmo sempre più vicini ai clienti, ai 9 milioni contrattua­lizzati, destinati a superare i 20 milioni, ai quali forniamo servizi, e a quel 25% di mercato retail che fa affidament­o sui prodotti Eni per la mobilità».

La ricerca che fine fa?

«Ricerca ed esplorazio­ne rimarranno, ma dal 2025 la produzione diminuirà progressiv­amente, con una incidenza sempre maggiore del gas naturale, la più pulita delle fonti fossili, e sempre minore del petrolio. Per questo abbiamo costituito due divisioni: la prima, natural resources, si occuperà di rendere sempre più sostenibil­e il portafogli­o di gas e petrolio, dell’efficienza energetica e delle tecnologie per la cattura e rimozione della C02. La seconda: energy evolution , che sarà quella più vicina ai clienti, la rete che si occuperà di trasformaz­ione e vendita di prodotti sempre più bio, blu e green. Prodotti per un mercato europeo e mondiale ma anche destinati a rendere l’italia sempre più autonoma e indipenden­te dall’estero».

Basterà a evitare azioni come quella della Bp che manda a casa 10 mila persone?

«Nei nostri programmi sì. Sono le competenze, i saperi, le conoscenze attuali e da creare, in poche parole le persone che fanno l’eni. Sono loro che hanno reso possibile il cambiament­o. E noi non vogliamo rinunciarc­i».

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Il chief executive officer dell’eni, Claudio Descalzi. È al terzo mandato alla guida della compagnia oil&gas
Energia Il chief executive officer dell’eni, Claudio Descalzi. È al terzo mandato alla guida della compagnia oil&gas

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