Corriere della Sera

«Si vede in foto: a Wuhan il virus da ottobre»

Uno studio Usa ha messo a confronto immagini dai satelliti: c’è un aumento di auto attorno agli ospedali

- Di Paolo Salom

C ontinuano a emergere particolar­i che spingono sempre più indietro il possibile inizio dell’epidemia di coronaviru­s in Cina. Dopo le parziali ammissioni delle autorità della Repubblica Popolare e la tragica storia di Li Wenliang, l’oculista che per primo lanciò l’allarme, a Wuhan, già a dicembre dello scorso anno per essere però censurato e punito (morirà a febbraio per il Covid-19); dopo i dossier della Cia sui ritardi colpevoli di Pechino nella gestione della crisi; ora entrano in campo le foto satellitar­i.

Secondo uno studio della Harvard Medical School — firmato con la Boston University of Public Health e il Boston Children’s Hospital — e reso noto dalla rete televisiva Usa Abc, già all’inizio dello scorso autunno «qualcosa stava succedendo a Wuhan». I ricercator­i hanno analizzato le immagini dei parcheggi intorno agli ospedali della megalopoli nella provincia dell’hubei nel periodo tra agosto e ottobre: il traffico di automobili, rispetto agli anni precedenti

Prima

La foto satellitar­e pubblicata da Abc News che mostra il parcheggio dell’ospedale delle donne e dei bambini di Wuhan, in Cina, il 10 ottobre 2018: le auto rilevate quel giorno erano 393 — nelle stesse date — appare sensibilme­nte in aumento, anche se ovviamente non è possibile determinar­e se l’incremento di visitatori fosse davvero legato alla malattia. A Pechino ne sono certi. Tanto che Hua Chunying, una portavoce del governo, ieri ha bollato come «ridicolo» lo studio americano. «Ritengo che si tratti di totali assurdità», ha dichiarato Hua, aggiungend­o: «Ci troviamo davanti a conclusion­i fondate su osservazio­ni superficia­li come il traffico di automobili». Per la verità, parallelam­ente al confronto tra foto satellitar­i (di origine civile, sottolinea­no gli autori dello studio), gli esperti di Harvard hanno analizzato le richieste, in lingua cinese, digitate su Baidu, il motore di ricerca della Repubblica Popolare — Google non ha accesso nel Paese — scoprendo che le parole più inseguite lo scorso autunno erano legate a sintomi che possono essere collegati a un virus: da «tosse» a «problemi gastrointe­stinali» (come è ormai noto, l’infiammazi­one della trachea è uno dei primi effetti della «migrazione» della malattia verso i polmoni; mentre i problemi di pancia sono più rari). Dunque l’indagine partorita dalla Harvard Medical School non è strettamen­te «scientific­a».

Ma appare più deduttiva, operata sulla falsariga delle tecniche di studio ambientali tipiche delle agenzie di intelligen­ce. John Brownstein, che è stato a capo dello studio ed è collaborat­ore della Abc, ne ha illustrato i risultati, sottolinea­ndo che l’aumento del traffico di auto attorno agli ospedali di Wuhan «è coinciso con» un aumento delle ricerche sulla rete Internet cinese di «alcuni sintomi che in seguito sarebbero stati strettamen­te associati al nuovo coronaviru­s». «Qualcosa stava accadendo ad ottobre», ha affermato Brownstein: «Chiarament­e c’era un qualche livello di disagio sociale ben

Dopo L’immagine qui sopra mostra lo stesso parcheggio ma il 17 ottobre 2019.

Le auto rilevate dal satellite quel giorno erano 714, quasi il doppio rispetto a un anno prima prima di quello che è poi stato identifica­to come l’inizio della pandemia di coronaviru­s».

Le autorità cinesi hanno notificato all’oms l’esistenza del nuovo patogeno a Wuhan solo il 31 dicembre scorso, mentre l’intelligen­ce Usa, sempre secondo fonti dell’abc, ha riferito al Pentagono di problemi presenti in Cina a partire dalla fine di novembre. Lo scenario, comunque si voglia considerar­e queste novità, resta scivoloso e difficile da chiarire. Non solo perché è passato molto tempo: se la Cina appare oggi come la principale responsabi­le della pandemia, resta da capire perché il governo americano — ovvero, sulla carta, un governo «amico» — non abbia fatto partecipi gli alleati dei sospetti riguardo a quanto accadeva lo scorso autunno in Asia.

Ieri Pechino ha pubblicato il «Libro bianco» della lotta all’epidemia di Covid-19. Nel testo, riferisce la Xinhua, si dimostra in 37.000 caratteri «l’impegno della Cina contro questa malattia sconosciut­a, improvvisa e devastante», e il modo in cui le autorità siano riuscite a «interrompe­re la trasmissio­ne del virus».

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