Il giudice: atti alla Consulta, Zagaria resta ai domiciliari
Dell’approssimativa saga dei «356 boss scarcerati dal 41 bis con la scusa del Covid», e poi del decreto legge Bonafede per «riportarli in carcere», era divenuto l’epònimo: Pasquale Zagaria, fratello del camorrista Michele capoclan dei «Casalesi», detenuto a Sassari al 41 bis, 20 anni di fine pena ad agosto 2023, posto il 23 aprile per 5 mesi in detenzione domiciliare dal giudice per indisponibilità di cure indifferibili al suo tumore. Ma ieri il Tribunale di Sorveglianza non rimanda in carcere Zagaria dopo che, in base al decreto, il Dap aveva indicato un posto nel reparto protetto dell’ospedale Belcolle di Viterbo, e i Procuratori antimafia nazionale e distrettuale avevano perorato il ripristino del carcere: la presidente Ida Soro e il relatore Riccardo De Vito sollevano invece davanti alla Corte
Costituzionale dubbi di contrasto del decreto con gli articoli 3, 27, 32, 102 e 104. I ritmi di rivalutazione imposti dalla legge (e cioè subito se il Dap trova un posto, o entro 15 giorni, e poi ogni mese), «invadono la sfera di competenza riservata all’autorità giudiziaria e violano il principio di separazione dei poteri»: specie in quanto «applicati retroattivamente ai provvedimenti già adottati dal 23 febbraio» e per una particolare categoria di «tipi d’autore», i mafiosi, «destinatari di una frequente rivalutazione marcatamente tesa al ripristino del carcere e non garantita nella tutela del diritto alla salute». Che «non si affievolisce di fronte alle legittime esigenze repressive dello Stato». Zagaria a Brescia è stato prima operato in ospedale a fine maggio, e poi ricoverato ancora a inizio giugno. Ora i giudici argomentano che i tempi stretti del decreto «impediscono una verifica completa delle condizioni di salute» e dell’adeguatezza terapeutica del posto indicato dal Dap, finendo per «far divenire la discrezionalità giurisdizionale puramente ricognitiva della comunicazione del Dap e dei pareri dei Procuratori antimafia».