IL GIUGNO DEL DUCE, DI CHURCHILL E DELLA CAVALLERIA FRANCESE
Caro Aldo, oggi ricorre l’anniversario (80 anni) dell’entrata in guerra dell’italia fascista al fianco della Germania. Perché l’italia e gli italiani complessivamente fanno fatica a dare un giudizio unanime in sede storica su quell’evento, al di là delle partigianerie o delle faziosità politiche? Amedeo Gasparini studente, Lugano (Svizzera)
Caro Amedeo,
Il 10 giugno fu una tragedia. L’italia entrò in guerra impreparata, e al fianco di Hitler. Per prima cosa, attaccò il Paese — già sconfitto dai tedeschi; da qui la «pugnalata alle spalle» — cui doveva la sua indipendenza, la Francia. Alcuni reparti alpini partono con la divisa estiva di tela: alla fine si conteranno 2631 tra feriti e congelati; nella divisione Pusteria i casi di congelamento raggiungono il 15 per cento degli effettivi. Altri alpini, in particolare piemontesi, rifiutano di attaccare il Paese dove vanno a lavorare d’inverno; nel battaglione Exilles c’è un principio di ammutinamento. I francesi mantengono a volte un atteggiamento cavalleresco. Al Colle del Ferro un battaglione alpino avanza nella nebbia, sino alle rive di un lago. Si sta disponendo al combattimento, quando viene un’improvvisa schiarita e i nostri si trovano al fondo d’un imbuto, sotto le postazioni francesi. Scrive Giorgio Bocca: «Trascorrono attimi di silenzio e di terrore, poi lassù qualcuno sventola una bandiera bianca, scendono in tre a parlamentare, un ufficiale medico e due soldati. Dice l’ufficiale: “Il mio comandante mi incarica di informarvi che siete sotto il tiro delle nostre mitragliatrici; ma abbiamo compassione di voi, lasciate le armi a terra e ritiratevi”». Gli alpini si ritirano. E mancano poco più di quattro mesi all’attacco alla Grecia, da dove Indro Montanelli rifiuta di scrivere una sola riga, per non dover nascondere «il fracco di legnate che ci prendemmo». E questo nonostante il valore dei fanti italiani, riconosciuto anche dai nemici e — più tardi, nel deserto — da Rommel. Alla luce degli avvenimenti che seguiranno, il discorso di Mussolini appare un tonitruante delirio. Così diverso dalle parole che il 4 giugno Winston Churchill aveva pronunciato alla Camera dei Comuni — e non da un balcone —, per dire che gli inglesi non si sarebbero arresi mai.
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