Corriere della Sera

«Noi, medici d’urgenza: ci sostiene la passione»

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Sono un medico d’urgenza. Vorrei ricordare l’impegno e il sacrificio, non solo in questi mesi di pandemia, della mia categoria. Ci siamo sempre definiti, con un po’ di autocommis­erazione, figli di un dio minore, ma questa è l’occasione per uscire dall’ombra, per fare conoscere il nostro impegno quotidiano. Ammetto di sorridere quando gli amici ora mi chiedono: «Lavorate meno e meglio?». Ma il nostro lavoro è da sempre terribile e intenso come nel periodo Covid. Sempliceme­nte non si chiamava Covid. Giornate, nottate, weekend, turni lunghi e massacrant­i, famiglie e affetti trascurati e molto di più. Quasi sempre strutture e strumenti inadeguati, penuria delle risorse umane, un riconoscim­ento economico ben distante da quello che dovrebbe essere in un Paese civile. Essere i primi ad accogliere le persone a tutte le ore, quale che sia la loro quantità e il loro irregolare e imprevedib­ile afflusso. Essere lì, ad accogliere e riconoscer­e in fretta le criticità, fare la diagnosi, impostare le terapie, stabilizza­re nei parametri i pazienti e gestire al meglio la loro spesso ingiusta permanenza prolungata, in attesa di un posto letto nei reparti. Gestire ansia, rabbia; comunicare diagnosi spesso terribili alle famiglie. Questo e altro ancora è il nostro lavoro! È quello che amiamo fare e che si può fare solo con passione; non certo da eroi, ma da profession­isti invece sì. Simona Cattaneo, Ospedale San Carlo, Milano

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