A lezione di marketing dai reali inglesi
Nel 1497 Vasco da Gama, dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza ( a dispetto del nome, uno degli angoli più tempestosi dei mari), si spinse fino in India e rivoluzionò le tratte commerciali verso oriente. Per comprendere la natura di questa innovazione bisogna collocarla nella storia: nel 1452, grazie anche ai super cannoni di Orban, era crollata dopo otto secoli Costantinopoli. E con la città si erano sbriciolate anche le sue famose mura e tutto l’impero Romano d’oriente. In altre parole non esisteva più quella comoda via per Oriente che passava dal Bosforo e che permetteva soste nelle tranquille dogane genovesi, come Galata, lungo il percorso. L’innovazione, spesso se non sempre, è figlia della necessità. Un altro esempio è molto più recente: quello della famiglia reale Gotha. Non ricordate chi sono? Oggi li conoscete sotto il nome di Windsor, forse la più riuscita operazione di marketing di tutti i tempi. In piena Prima guerra mondiale il sentimento anti tedesco aveva già messo in difficoltà la famiglia reale di Saxe-coburg and Gotha, imparentata sia con gli zar di Russia che con i reali tedeschi. Nel 1917 i bombardieri tedeschi, chiamati «Gothas» anch’essi, colpirono una scuola fuori Londra uccidendo anche dei bambini. Fu un momento drammatico per la famiglia reale inglese che in poche settimane scelse un nuovo nome da un castello, quello di Windsor. Il brand è tutto. O quasi: i Medici, forse il brand più potente della storia, si auto-distrussero sposandosi tra di loro per non distribuire la loro enorme ricchezza (e anche per una presunta diffusa omosessualità). Si estinsero con Gian Gastone de’ Medici nel 1737, ultimo discendete maschio della famiglia. Infine a lezione di marketing sarebbe dovuto andare un uomo che ha cambiato le vite di tutti noi, anche se nessuno conosce il suo nome: Douglas Engelbart. Quando morì nel 2013 negli obituaries emerse un’informazione notevole: era stato il padre del mouse, il nostro migliore amico durante il «lockdown». Peccato che non avesse mai pensato di dare un nome alla sua invenzione. Senza la sua idea il dialogo tra umanità e macchine sarebbe rimasto imprigionato in un’epoca preistorica, ai segnali di fumo. Non innovare humanum. Non avere un brand diabolicum.