Addio al sorriso di «Depende»
Pau Donés degli Jarabe de Palo è stato stroncato da un cancro Duetti con Jovanotti e Modà
C’ era sempre un sorriso sulle labbra di Pau Donés. Anche se la malattia che se l’è portato via lo stava consumando lui sorrideva. Come nell’ultimo videoclip «Eso que tú me das» in cui era quasi irriconoscibile tanto era smagrito. Il leader degli Jarabe De Palo è scomparso ieri. L’annuncio della famiglia conferma che se ne è andato «a causa del cancro di cui soffriva dall’agosto 2015». Un tumore al colon sul quale aveva appoggiato - anche lì - il sorriso. A partire dal video ironico, una tentata fuga dall’ospedale, con cui 5 anni fa aveva annunciato la malattia e la cancellazione del tour. Il male si era ripresentato nel 2017 e Pau aveva reagito con il lavoro: un disco, un libro e un tour per festeggiare i 50 anni. «Mi sento come un’auto che ogni tanto deve fare il tagliando», raccontava.
Nato a Barcellona nel 1966, una laurea in economia presa per tranquillizzare la famiglia e poter seguire in pace il sogno della musica. Non quella glitter e classifiche. Un viaggio a Cuba gli aveva ispirato «La flaca», visione di una sensuale e magrissima (flaca, appunto, in spagnolo) mulatta. Un successo da milioni di copie che era arrivato nel 1997, un anno dopo la pubblicazione del disco, grazie all’inserimento in uno spot pubblicitario. In Italia «La flaca» era arrivata ancora più tardi: fu il tormentone, concetto così lontano dal suo modo di concepire la musica, dell’estate 1999.
Sempre in ritardo rispetto alla Spagna, gli Jarabe De Palo avevano confermato il successo nel 2000 grazie a «Depende», con una versione italiana in duetto con Jovanotti. «Mi mancherai tantissimo amico e maestro Pau, niente cancellerà i momenti bellissimi vissuti insieme — ha postato Lorenzo ieri sui social —. Dove sei ora? Mi è difficile crederci». Pau e gli Jarabe De Palo, nel tempo diventati una one man band, avevano un rapporto forte con il nostro Paese segnato dalle collaborazioni con i Modà, Francesco Renga, Niccolò Fabi, Noemi, i Nomadi e Fabrizio Moro.
Non è necessario essere scostanti e fare i divi per essere artisti. Ma in tanti ci cascano. Non è richiesto essere cortesi e sorridenti per gestire le proprie pubbliche relazioni. Ma una minoranza di star sa fare quel passo in più. Pau era una di queste. Così lo ricorda chi ha avuto occasione di lavorarci insieme. Niente bizze da personaggio, nemmeno quando era all’apice del successo e può anche capitare che i piedi non siano ben saldi a terra. Non gradiva il trattamento che spesso viene riservato anche a chi certi lussi non se li è ancora guadagnati. Una volta si era lamentato dell’hotel che gli avevano prenotato a Milano. Era il Principe di Savoia. «Troppo lusso. Ci devo solo dormire. La prossima volta datemi un 3 stelle e con il resto del budget facciamo una cena assieme». Non sopportava nemmeno il codazzo di assistenti e tuttofare. Dopo qualche stagione con una major aveva preferito fondare la sua etichetta e gestire tutta la sua attività discografica e live, con la sua manager. La sua allergia alle liturgie consolidate è ben riassunta da quella volta che se ne andò tutto solo a Las Vegas per la cerimonia dei Latin Grammy.
Uno spirito libero. Amava fare festa, le donne e la compagnia a tavola. La sua musica aveva beneficiato dell’ondata latina di fine anni Novanta senza però quelle produzioni pop così smaccate. Quello degli Jarabe De palo era un folk rock con anima cantautorale e venature latin.
Come testamento musicale aveva da poco pubblicato in digitale (il cd sarebbe dovuto uscire a fine giugno, in Italia non c’erano ancora progetti) il nuovo album «Tragas o Escupes» (ingoia o sputa). Lo avrebbe presentato, come sempre, col sorriso.