Corriere della Sera

L’occhio lungo francese quello corto di chi «vince»

- Di Daniele Dallera

Igol, le emozioni che regala il pallone, sono vicine, ormai ci siamo. Lo spettacolo sta per iniziare, grande merito del presidente della Figc, Gabriele Gravina, che ha lottato come un leone, a volte sbranando anche il buon senso («non sarò il becchino del calcio italiano», gli è scappato di dire quando si seppelliva­no a migliaia i morti), confrontan­dosi con un calendario tutto suo, cerchiava in rosso date quando l’italia era quasi tutta rossa, ma per malattia, dolore e paura. Tutti sbagliano, compresi i dirigenti più avveduti, non c’è dubbio che Gravina lo sia. Si ricomincia, un peccato (e un dovere) che non ci sia il pubblico, ma prima o poi tornerà. Un errore imperdonab­ile non aver ragionato sul futuro del calcio che riparte più malato di prima. Sarebbe stato meglio cercare la ripartenza unendo le forze, si è preferito esasperare tensioni e creare ferite. Demolendo la Lega di serie A, con un voto democratic­o, ma sordo a ogni esigenza e proposta del massimo fronte calcistico. Guarda caso 24 ore dopo il Consiglio federale anti Lega cosa accade? La giustizia in Francia blocca le retrocessi­oni di Amiens e Tolosa orientando una Ligue 1 a 22 squadre con le promosse Lorient e Lens. Insomma la serie A non aveva proposto una follia, davanti a un’emergenza nazionale (sportiva). Ancora: Lega dilettanti (Sibilia) e Associazio­ne allenatori (Ulivieri) stabilisco­no un’intesa «su formazione e programmaz­ione futura». Non bisogna essere geni per capire che è il primo segnale che il comandante Sibilia manda ai navigatori del suo stesso mare: io ho i voti, tanti, e sono pronto a guidare il calcio italiano. Malato, un paziente grave, che riparte con gli stessi problemi di prima: le tv verseranno l’ultima rata? E cosa pagheranno, 12 giornate, i playoff, quindi meno turni, o un maledetto algoritmo? Si faccia festa perché si riparte, su il sipario, ma non si esageri con lo champagne. È giusto giocare, si spera fino in fondo, resta l’amarezza per «le prove muscolari» e per la mancata ricerca di consenso. Fondamenta­le in un momento simile.

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