Renzo Arbore, un professionista che finge di fare il dilettante
R enzo Arbore ha aperto casa sua (lo aveva già fatto ai gloriosi tempi della critica cinematografica di Roberto Benigni) per iniziare a sfogliare l’album personale dei ricordi. Striminzitic Show è il nome del suo nuovo programma, la cui prima puntata è andata in onda lunedì su Rai2 (le successive 20 saranno proposte in seconda serata). Il neologismo italo-inglese maccheronico riguarda la realizzazione (due telecamere e un tinello di ninnoli di plastica «rigorosamente inutili»), non certo la massa enorme dei tagli e ritagli, dalle esibizioni musicali allo sketch con Carlo Verdone, dal numero di Riccardo Pazzaglia a Enzo Iannacci che canta «O mia bela Madunina» davanti al Duomo di Milano. Il ritmo con cui Arbore e Gegè Telesforo presentavano il repertorio era molto flemmatico, quasi bradipesco, «oliografico» (come aveva preannunciato Marisa Laurito in sede di presentazione), tanto da far pensare a una sorta di neopoetica del fanciullino: la parte giovinetta di Arbore ha ancora la capacità adamica di dare un nome a tutto quello che lo circonda, di creare un linguaggio e con esso un mondo innocente immagazzinato senza tregua nel corso degli anni.
Dai primordi, infatti, ha fatto tv sapendo che essa è anche radio, cinema, teatro, stampa. I suoi programmi sono vissuti di frattaglie che ruotano intorno alla sua presenza calamitante: giochi, servizi, parodie, personaggi non si assommano per annullarsi, ma si scontrano per accendersi. Il modello delle sue trasmissioni è sempre stato la jam-session, dove preparazione e improvvisazione si intrecciano e si sublimano. L’essenza surreale della tv, serpeggiata per anni in tante opere e personaggi, è stata infine pienamente rivelata da Arbore con un compiacimento quasi goliardico. È possibile dire ancora qualcosa di nuovo su Arbore? È un professionista che finge di fare il dilettante, in un mondo di dilettanti che fingono di fare i professionisti.