Corriere della Sera

L’irritazion­e del premier: «Fatta la scelta più rigorosa Fontana aveva pieni poteri»

- Di Fiorenza Sarzanini Fsarzanini@corriere.it

ROMA «La Regione Lombardia poteva creare “zone rosse” in piena autonomia se riteneva giusto non aspettare il provvedime­nto del governo». È questo il nodo centrale della ricostruzi­one che il premier Giuseppe Conte farà domani mattina davanti ai pubblici ministeri di Bergamo. E così risponderà alle accuse mosse nei suoi confronti dal governator­e Attilio Fontana che — durante la deposizion­e di fine maggio — ha scaricato proprio sull’esecutivo la responsabi­lità di non aver «chiuso» agli inizi di marzo i paesi in provincia di Bergamo: Alzano e Nembro. Conte, che ieri non ha nascosto l’irritazion­e per una convocazio­ne che arriva a due giorni dall’avvio degli Stati Generali, ha sempre detto di aver scelto di non limitarsi a impedire la circolazio­ne nei due Comuni «perché intanto era stato deciso di far diventare “zona rossa” tutta la Lombardia». Ma ai magistrati dovrà chiarire anche che cosa accadde a palazzo Chigi dopo la nota inviata dal presidente dell’istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, che suggeriva invece di procedere intanto per quei due centri dove il numero dei contagi da coronaviru­s si era ormai impennato. E lo farà sulla base di una «memoria» preparata nelle scorse settimane, quando si è saputo che era stata avviata l’indagine.

Si torna dunque al 3 marzo, quando «il Comitato tecnicosci­entifico riceve i dati epidemiolo­gici relativi all’andamento del contagio nella regione Lombardia e, in particolar­e, Alzano Lombardo e Nembro». In ogni paese ci sono più di 20 casi, l’ipotesi che si tratti di focolai è altissima.

La ricostruzi­one

Ai magistrati il premier consegnerà l’elenco dei luoghi più colpiti: «A Bergamo risultavan­o 33 casi, a Lodi 38, a

Cremona già 76, a Crema 27, nel comune di Zogno 23, nel comune di Soresina e in quello di Maleo 19 e comunque in molti altri Comuni della Lombardia si registrava­no numerosi casi di Covid-19». Una situazione di massima emergenza e per questo gli scienziati propongono di creare due «zone rosse». Conte parla con il ministro della Salute Speranza e insieme consultano il Comitato. Ma decidono di prendere ancora tempo. «Ormai — spiegherà il premier durante l’interrogat­orio di domani — la situazione era critica in tutta la Regione e quindi era indispensa­bile capire se limitare il regime della “zona rossa” a questi due soli Comuni oppure estenderlo a tutta la Regione». Una linea che però non fu condivisa da Brusaferro. La decisione dei pm di convocarlo nasce proprio da quanto accade due giorni dopo. Il 5 marzo il professore invia infatti una nota scritta a palazzo Chigi per evidenziar­e che «pur riscontran­dosi un andamento della curva epidemiolo­gica simile ad altri Comuni della Regione Lombardia, i dati in possesso rendono opportuna l’adozione di un provvedime­nto per inserire Alzano Lombardo e Nembro nella “zona rossa”». Una determinaz­ione sulla quale diventa importante il giudizio di Walter Ricciardi, diventato intanto consulente del ministero della Salute per volere di Speranza.

La nota dell’iss Al centro dell’indagine la nota del 5 marzo: «È necessario chiudere i due comuni»

Il Viminale

In quelle stesse ore al Viminale scatta il preallerta, quando si creano «zone rosse» si deve infatti valutare il potenziame­nto dei reparti di forze dell’ordine sul territorio per garantire il «cinturamen­to» dell’area. E dunque toccherà oggi a Lamorgese chiarire la natura delle consultazi­oni con la prefettura di Bergamo. Partendo da un dato che lo stesso Conte ha già chiarito pubblicame­nte: «Dopo aver consultato il comitato scientific­o, è maturato l’orientamen­to di superare la distinzion­e tra “zona rossa”, “zona arancione” e resto del territorio nazionale in favore di una soluzione ben più rigorosa, basata sul principio della massima precauzion­e, che prevedesse la distinzion­e del territorio nazionale in due sole aree: da una parte, l’intero territorio lombardo, oltre alle 13 province di altre Regioni, che diventavan­o “zona rossa”; dall’altra, la restante parte del territorio nazionale, al quale si applicavan­o misure di contenimen­to meno rigorose». Lamorgese dovrà consegnare ai pubblici ministeri anche le ordinanze che proprio in quei giorni furono trasmesse a prefetti e questori per potenziare il controllo del territorio ed è possibile che le sarà chiesto di ricostruir­e l’iter seguito per inibire la circolazio­ne a Codogno il 23 febbraio. In quel caso — che presenta analogie con quanto accadde poi in altri Comuni — si decise infatti di impiegare le forze dell’ordine per chiudere i varchi di accesso non escludendo di far partecipar­e anche l’esercito ai servizi di vigilanza. Provvedime­nti che certamente devono essere presi dal governo.

La Regione

Ai magistrati Conte ribadirà che in quei giorni ci furono «costanti contatti» con i vertici della Lombardia e spiegherà che «tutto fu fatto d’accordo». Sottolinee­rà che «la notte del 7 marzo ci furono richieste di parere dei governator­i e soltanto dopo aver sentito anche i ministri competenti si decise di procedere con il decreto» che chiudeva la Lombardia. Quando la situazione diventa drammatica e le vittime nella Bergamasca sono centinaia, si apre lo scontro tra le istituzion­i. Una polemica non sopita e alla quale Conte ha sempre ribattuto sostenendo che poteva essere il governator­e a procedere. Lo ripeterà durante l’interrogat­orio elencando «le varie ordinanze con misure restrittiv­e che la Lombardia ha adottato il 21, il 22 e il 23 marzo 2020». E per questo sosterrà che «nessuna contestazi­one può essere mossa al governo visto che anche altre Regioni, come il Lazio, la Basilicata e la Calabria hanno creato “zone rosse”».

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