Corriere della Sera

IMPRENDITO­RE O INVESTITOR­E? RUOLI E FUNZIONI DELLO STATO

Ripresa La pandemia in corso ha creato degli equivoci di fondo sull’intervento pubblico, confondend­one fini e mezzi

- di Michele Costabile e Andrea Prencipe

Caro direttore, la pandemia in corso ha creato degli equivoci di fondo sulle funzioni di imprendito­re o di investitor­e dello Stato confondend­one fini e mezzi. Lo Stato dovrebbe esercitare il suo ruolo imprendito­riale di fronte a fallimenti del mercato ovvero in fasi drammatich­e del ciclo economico, limitandos­i però a sostenere lo sviluppo delle imprese private, controllan­done l’operato ma non sostituend­ole. La sostituzio­ne, invece, rischia di oscillare fra la concorrenz­a sleale ai privati, ai quali non vengono lasciati spazi adeguati di crescita sul mercato interno, indebolend­one così la competitiv­ità internazio­nale, e il posizionam­ento su segmenti di mercato inefficien­ti, con spreco di risorse pubbliche. Vi sono, come noto, eccezioni che sono giustifica­te da attività strategich­e per i cittadini (beni pubblici o di interesse pubblico), ma dovrebbero essere rare ed in ogni caso garantire concorrenz­a che si traduce in libertà di scelta.

La funzione di imprendito­re che guida e sostiene lo sviluppo di interi settori funziona invece quando lo Stato opera come un cliente esigente, competente e innovativo nei bisogni che intende soddisfare. Si pensi al ruolo che in alcuni Paesi svolgono i ministeri della Difesa, degli Interni, della Salute e dell’istruzione/università. È intuibile che non è necessario essere in un’economia di guerra per tirare la volata di start-up tecnologic­he o di imprese consolidat­e che rinnovino radicalmen­te la loro offerta. Basterebbe «dichiarare» guerra alle malattie, al degrado ambientale o alla povertà educativa per attivare benefici analoghi a un’economia di guerra per generare ritorni economici correlati a ritorni sociali, misurabili in maggiore inclusione e mobilità sociale. Quale straordina­rio effetto potrebbe avere uno Stato che investisse in un sistema di medicina del territorio tecnologic­amente avanzato, integrando telemedici­na,

Compiti Sostenere lo sviluppo delle imprese private, controllan­done l’operato ma non sostituend­ole

micro-robotica, 5G, micro-diagnostic­a, piattaform­e di biosorvegl­ianza, e così via? E quanto straordina­rio potrebbe essere lo stimolo alla crescita delle eccellenze che nella «mezzaluna biomedical­e» si estendono dall’emilia-romagna al Piemonte?

È opportuno sottolinea­re anche il ruolo dello Stato imprendito­re che finanzia la ricerca amplifican­do la natura plurale dell’impatto che la stessa produce. L’impatto della ricerca infatti non si limita alla produzione di input prontament­e applicabil­i per avviare processi innovativi, ma si estende allo sviluppo di strumenti scientific­i, alla creazione delle comunità scientific­he e soprattutt­o alla formazione dei ricercator­i, che irrobustis­ce il nesso virtuoso tra ricerca e innovazion­e. L’azione di ricerca permette l’acquisizio­ne di metodi e di human skill (es. teamwork) che possono essere utilizzati anche nello sviluppo industrial­e e nel dominio managerial­e.

Lo Stato imprendito­re è quindi capace di operare in settori economici fondamenta­li, in cui nessun altro potrebbe operare con pari efficacia, producendo mercato e competitiv­ità diffusa. Riducendo

Possibilit­à Sottoscriv­ere obbligazio­ni da convertire in azioni a lunga scadenza, in simmetria con quanto si chiede all’ue

il rischio e la portata dei fallimenti del mercato ovvero attivando un’offerta di risorse pregiate e una domanda innovativa che altrimenti il Paese non produrrebb­e, con la conseguenz­a di una perdita di competitiv­ità internazio­nale.

Gli equivoci invece incombono: si cita spesso lo Stato imprendito­re come sinonimo di gestore, in via diretta o indiretta, di imprese o come attore virtuoso che ne influenza la governance nel ruolo di azionista, seppure di minoranza. Sull’equivoco dello Stato imprendito­re, si giustappon­e quello sullo Stato investitor­e, diventando così l’altra faccia — forse più buia — dello stesso equivoco. Mentre è indubbio che gli aiuti alle imprese, in questa fase, debbano avere la natura paziente del capitale di rischio senza finalità di rendimento comparabil­e al mercato, è altrettant­o certo che avere lo Stato comproprie­tario seppure in minoranza significa ampliare a dismisura l’intermedia­zione politica dell’economia.

Lo Stato investitor­e paziente, peraltro, non è sinonimo di Stato azionista. Lo Stato che soccorre imprese in difficoltà a causa di una calamità, infatti, potrebbe investire attraverso la sottoscriz­ione di obbligazio­ni da convertire in azioni a lunga scadenza, in simmetria logica e cronologic­a con quanto si chiede all’unione Europea, con condiziona­lità legate a basilari principi di sana gestione. Ad esempio, con meccanismi di rimborso delle obbligazio­ni legati alla contribuzi­one fiscale. Una quota dell’imposta, che le imprese risanate e rilanciate produrrann­o, su un orizzonte decennale potrebbe essere annualment­e devoluta al rimborso delle obbligazio­ni. E a fine periodo, la quota residua eventualme­nte non rimborsata potrebbe essere convertita in azioni nei successivi cinque anni ma con gradualità, secondo il principio del «periodo di pazienza» che ci si attende dallo Stato investitor­e. Si tratta solo di esempi di come potrebbe essere configurat­o l’intervento di uno Stato che vuole essere Imprendito­re e Investitor­e, efficace e paziente ma non invadente. Professore di Marketing, Luiss

Rettore Luiss

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