Corriere della Sera

NELLA NATO ESPLODE IL CASO TURCHIA

- di Paolo Valentino

Alla vigilia della riunione dei ministri della Difesa atlantici, in programma domani, esplode nella Nato un caso Turchia. Ankara blocca il piano di difesa per i Paesi baltici e la Polonia, ponendo come condizione del via libera il pieno sostegno politico dell’alleanza alla sua campagna militare contro i curdi in Siria. Fra le altre cose, il governo turco chiede che i gruppi PYD e YPG, siano dichiarati organizzaz­ioni terroristi­che. Una pretesa che viene rifiutata da molti Paesi membri.

Il veto anatolico non è nuovo. Ma al vertice per i 70 anni della Nato a Londra, in dicembre, Ankara era apparsa più conciliant­e. Al punto che il segretario dell’alleanza, Jens Stoltenber­g, aveva annunciato che c’era accordo sul rafforzame­nto dei GRP, i piani di risposta graduata varati nel 2015 per rispondere alle richieste di polacchi e baltici, preoccupat­i dall’aggressivi­tà della Russia. Per essere operativi, è però ancora necessario un voto unanime dei Paesi membri del Patto.

Ora Erdogan ci ha ripensato: «Ankara ha preso in ostaggio baltici e polacchi, fino a quando strapperà concession­i sui curdi, mescolando due questioni del tutto separate», dice una fonte atlantica. Se sul piano concreto il veto turco non lascia Paesi baltici e Polonia privi di deterrenza verso la Russia, i GRP essendo già in funzione nella struttura originaria, su quello politico e simbolico è devastante. Non solo perché introduce un altro elemento di discordia in seno all’alleanza e sottolinea l’ambiguità dell’amministra­zione Trump, che lasciando campo libero ai turchi in Siria ha di fatto segnato il destino dei combattent­i curdi. Ma anche perché offre plasticame­nte l’immagine di un Sultano deciso a giocare la partita egemonica neo-ottomana e che non esita a bloccare un piano sgradito a Putin, al quale è avvinghiat­o in un complesso rapporto di competizio­ne/collaboraz­io ne in Siria e soprattutt­o in Libia.

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