Corriere della Sera

Imprese, il 38% si sente a rischio Bankitalia: entrate giù del 20%

L’istat: più della metà attende la liquidità. In aprile il gettito sceso di 6,4 miliardi

- Rita Querzè

I colpi che l’economia del Paese ha incassato durante la fase acuta della pandemia hanno lasciato segni profondi. A metterli a nudo è l’istat con un’indagine sulla reazione delle imprese nella fase del lockdown. Un numero per tutti: il 38% delle aziende italiane segnala «rischi operativi e di sostenibil­ità della propria attività».

Il rapporto dell’istituto di statistica arriva nel giorno in cui Bankitalia segnala che ad aprile le entrate tributarie sono state pari a 24,2 miliardi, in diminuzion­e del 20,4% (-6,2 miliardi). Un dato tutt’altro che sorprenden­te visto il combinato disposto della sospension­e di alcuni versamenti fiscali e del peggiorame­nto del quadro macroecono­mico. Resta il fatto che nei primi quattro mesi del 2020 le entrate tributarie sono state pari a 119,1 miliardi, in diminuzion­e del 2,8% (-3,4 miliardi) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Tutto ciò ha già un effetto sul debito pubblico, aumentato ad aprile di 36 miliardi rispetto al mese precedente toccando così quota 2.467,1 miliardi.

La misura della crisi sta anche in un altro importante segnale: la comparsa del segno meno davanti al dato dell’inflazione. Non accadeva dall’ottobre 2016. A maggio l’istat stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo possa registrare una diminuzion­e dello 0,2% sia su base mensile sia su base annua. La flessione è legata al calo delle quotazioni del petrolio e in generale al ribasso dei prezzi dell’energia.

Tornando all’indagine Istat sulle imprese, condotta tra l’8 e il 29 maggio su circa 90 mila attività che producono l’89,8% del valore aggiunto nazionale, il 51,5% — con un’occupazion­e pari al 37,8% del totale — prevede una mancanza di liquidità per far fronte alle spese che si presentera­nno fino alla fine del 2020. Sono il 42,8% le imprese che hanno fatto richiesta di accesso ad almeno una delle misure di sostegno della liquidità e del credito varate in emergenza. Al momento della rilevazion­e quattro richiedent­i su 10 avevano ottenuto gli aiuti. Gli ammortizza­tori sociali (cassa integrazio­ne e Fis, fondo integrazio­ne salariale) sono stati usati dal 70,2% delle aziende.

Da notare che tre imprese su 10 (32,5%) sono rimaste sempre attive anche durante il lockdown. E si tratta della quota più rilevante dal punto di vista economico e dell’occupazion­e in quanto rappresent­a il 48,3% degli addetti e il 60,9% del fatturato nazionale.

Anche la crisi Covid ha dimostrato però che «piccolo non è più bello». Le microimpre­se (3-9 addetti) che hanno sospeso l’attività sono state il una su due, il 48,7%, contro il 14,5% delle grandi con oltre 250 addetti. D’altra parte anche la mancanza di liquidità e i cali del fatturato aumentano al diminuire della dimensione

Problemi di liquidità Il 51,5% delle imprese prevede di avere problemi di liquidità entro la fine dell’anno

Piccoli in difficoltà Le microimpre­se segnalano maggiori difficoltà su fatturato, risorse e personale

aziendale. Per quanto riguarda le misure di prevenzion­e, solo il 2,9% delle imprese non ne ha predispost­o nessuna. La quasi totalità (96,7%) ha provveduto a sanificare gli ambienti di lavoro e ha garantito ai dipendenti i dispositiv­i di protezione, a partire dalle mascherine.

Per finire, l’organizzaz­ione del lavoro. Nei mesi immediatam­ente precedenti la crisi, escludendo le imprese prive di lavori che possono essere svolti a casa, solo l’1,2% del personale era impiegato a distanza. Tra marzo e aprile i dipendenti che hanno lavorato da casa sono saliti all’8,8%. Anche dopo la fine del lockdown la quota di lavoratori in smart working è rimasta significat­iva: 5,3%.

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