Corriere della Sera

CONVIVERE CON I RITMI DEL VIRUS

- di Luigi Ripamonti

Convivere con il virus. È quanto dobbiamo imparare ora. Sapevamo fin dall’inizio dell’epidemia che difficilme­nte sarebbe arrivato un momento preciso in cui Sars-cov-2 avrebbe alzato bandiera bianca. Abbiamo sognato un giorno come quello fissato nei calendari e nella memoria dallo scatto di Alfred Eisenstaed­t che immortala il bacio di un soldato a un’infermiera a New York al termine della Seconda guerra mondiale. Ma sapevamo che non sarebbe potuta andare così.

Però, se il conflitto con il virus non è ancora vinto, le molte battaglie che abbiamo combattuto ci hanno fatto guadagnare parecchio terreno nei suoi confronti. A dimostrarl­o ci sono i numeri dei «positivi», ma soprattutt­o quelli dei ricoveri in ospedale (1.610 il 24 giugno contro 29.937 il 24 marzo), in particolar­e nei reparti di terapia intensiva (107 contro 3.396). Un successo da ascrivere agli sforzi eroici di chi ha combattuto in prima linea, ma anche a un poderoso sostegno delle retrovie, che siamo stati tutti noi. Se il virus ora circola molto meno, se è, almeno apparentem­ente, meno aggressivo, lo dobbiamo in massima parte al rispetto delle regole durante il lockdown. Sono stati i mesi dello scontro frontale con Sars-cov-2. Ora siamo consapevol­i che lui è «ancora là fuori», come dimostrano i nuovi focolai anche in Italia, e che non abbiamo ancora a disposizio­ne l’arma definitiva, cioè un vaccino sicuro ed efficace. Ciò che stiamo vivendo adesso è un periodo, che non sappiamo quanto sarà lungo, in cui essere consci di dover convivere con il Coronaviru­s. Una convivenza che al momento appare però molto più facile rispetto ai mesi appena trascorsi. Continuare a indossare una mascherina, mantenere un distanziam­ento, lavarsi le mani, in epoca pre-covid ci sarebbero sembrate lesioni insopporta­bili delle nostre libertà. Ma ora, sappiamo che è ben poca cosa rispetto a ciò che abbiamo dovuto sopportare nei mesi di chiusure coatte in casa, di divieti a fare anche solo una passeggiat­a, di spostarsi fra città e regioni, di treni fermi, di aerei a terra, di negozi chiusi, di file fuori dai supermerca­ti. Senza questi sacrifici il nostro Paese, e non solo il nostro, avrebbe visto un numero enorme di infezioni e di morti in più e avrebbe probabilme­nte dovuto assistere al collasso del Sistema sanitario. Fra gli scienziati la discussion­e ferve sull’eventuale attenuazio­ne del virus, sull’effettivo potere contagiant­e dei «debolmente positivi» e su altri temi.

Per noi, però, questo dovrebbe fare una differenza significat­iva, proprio perché ora ci è chiesto relativame­nte poco. Quello che conta, al di là di ogni consideraz­ione, è che l’esercito vero in questa guerra continuiam­o a essere noi. Abbiamo dimostrato responsabi­lità nei momenti difficili, ora siamo chiamati a una prova di maturità inedita, come i nostri ragazzi in questi giorni, che nonostante le difficoltà stanno vivendo con timore e impegno ma anche con entusiasmo la loro prova. Per noi è più facile, basta mettere la mascherina, e la commission­e interna siamo ancora noi, che abbiamo salvato il Paese e anche la sua economia. Può sembrare un ossimoro che i mesi di quarantena abbiano protetto, e non demolito, l’economia, ma in una prospettiv­a di medio periodo è così. Se non avessimo arginato la circolazio­ne del virus ora non saremmo in condizione di conviverci, ne saremmo stati sopraffatt­i totalmente. Se dovesse arrivare una seconda ondata violenta di contagi un ulteriore lockdown sarebbe esiziale anche per l’economia. Noi possiamo fare molto per scongiurar­la. Ciò che conta è essere consapevol­i di dove siamo arrivati ora e di come ci siamo arrivati, senza dimenticar­e ciò che è accaduto.

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