CONVIVERE CON I RITMI DEL VIRUS
Convivere con il virus. È quanto dobbiamo imparare ora. Sapevamo fin dall’inizio dell’epidemia che difficilmente sarebbe arrivato un momento preciso in cui Sars-cov-2 avrebbe alzato bandiera bianca. Abbiamo sognato un giorno come quello fissato nei calendari e nella memoria dallo scatto di Alfred Eisenstaedt che immortala il bacio di un soldato a un’infermiera a New York al termine della Seconda guerra mondiale. Ma sapevamo che non sarebbe potuta andare così.
Però, se il conflitto con il virus non è ancora vinto, le molte battaglie che abbiamo combattuto ci hanno fatto guadagnare parecchio terreno nei suoi confronti. A dimostrarlo ci sono i numeri dei «positivi», ma soprattutto quelli dei ricoveri in ospedale (1.610 il 24 giugno contro 29.937 il 24 marzo), in particolare nei reparti di terapia intensiva (107 contro 3.396). Un successo da ascrivere agli sforzi eroici di chi ha combattuto in prima linea, ma anche a un poderoso sostegno delle retrovie, che siamo stati tutti noi. Se il virus ora circola molto meno, se è, almeno apparentemente, meno aggressivo, lo dobbiamo in massima parte al rispetto delle regole durante il lockdown. Sono stati i mesi dello scontro frontale con Sars-cov-2. Ora siamo consapevoli che lui è «ancora là fuori», come dimostrano i nuovi focolai anche in Italia, e che non abbiamo ancora a disposizione l’arma definitiva, cioè un vaccino sicuro ed efficace. Ciò che stiamo vivendo adesso è un periodo, che non sappiamo quanto sarà lungo, in cui essere consci di dover convivere con il Coronavirus. Una convivenza che al momento appare però molto più facile rispetto ai mesi appena trascorsi. Continuare a indossare una mascherina, mantenere un distanziamento, lavarsi le mani, in epoca pre-covid ci sarebbero sembrate lesioni insopportabili delle nostre libertà. Ma ora, sappiamo che è ben poca cosa rispetto a ciò che abbiamo dovuto sopportare nei mesi di chiusure coatte in casa, di divieti a fare anche solo una passeggiata, di spostarsi fra città e regioni, di treni fermi, di aerei a terra, di negozi chiusi, di file fuori dai supermercati. Senza questi sacrifici il nostro Paese, e non solo il nostro, avrebbe visto un numero enorme di infezioni e di morti in più e avrebbe probabilmente dovuto assistere al collasso del Sistema sanitario. Fra gli scienziati la discussione ferve sull’eventuale attenuazione del virus, sull’effettivo potere contagiante dei «debolmente positivi» e su altri temi.
Per noi, però, questo dovrebbe fare una differenza significativa, proprio perché ora ci è chiesto relativamente poco. Quello che conta, al di là di ogni considerazione, è che l’esercito vero in questa guerra continuiamo a essere noi. Abbiamo dimostrato responsabilità nei momenti difficili, ora siamo chiamati a una prova di maturità inedita, come i nostri ragazzi in questi giorni, che nonostante le difficoltà stanno vivendo con timore e impegno ma anche con entusiasmo la loro prova. Per noi è più facile, basta mettere la mascherina, e la commissione interna siamo ancora noi, che abbiamo salvato il Paese e anche la sua economia. Può sembrare un ossimoro che i mesi di quarantena abbiano protetto, e non demolito, l’economia, ma in una prospettiva di medio periodo è così. Se non avessimo arginato la circolazione del virus ora non saremmo in condizione di conviverci, ne saremmo stati sopraffatti totalmente. Se dovesse arrivare una seconda ondata violenta di contagi un ulteriore lockdown sarebbe esiziale anche per l’economia. Noi possiamo fare molto per scongiurarla. Ciò che conta è essere consapevoli di dove siamo arrivati ora e di come ci siamo arrivati, senza dimenticare ciò che è accaduto.