Corriere della Sera

Una piccola pausa nel clima di angoscia

- di Pierluigi Battista

Una pausa, una piccola pausa nell’atmosfera di terrore e di angoscia che ci attanaglia dall’irruzione del virus ce la saremmo anche meritata, no? Poi certo, tenere sempre a mente la cupa esortazion­e del monaco che in Non ci resta che piangere con Troisi e Benigni minacciava: «ricordati che devi morire!». Certo, temere la «seconda ondata» (di ritorno, con il freddo: ma non avevano detto che con il caldo non se ne sarebbe andato? Si ritorna senza essersene andati?). Certo, tremare per le analogie suggerite dalla zigzagante Oms con l’influenza spagnola che fece 50 milioni di morti (siamo a più di 500 mila, per ora, niente rispetto all’apocalisse che potrebbe arrivare). E comunque, stavolta senza ironia: prudenza, distanze, mascherine, non abbassare la guardia, e soprattutt­o niente ottimismo superficia­le. Ma perché mai nemmeno una piccola, minuscola, umana manifestaz­ione di soddisfazi­one se, al momento in cui scrivo, i reparti di terapia intensiva occupano meno di cento pazienti mentre tra fine marzo e inizio aprile erano oltre quattromil­a? Se il numero di morti al giorno raggiunge non più di qualche decina, sempre troppi beninteso, mentre erano, tutti i giorni, otto/novecento, uno sterminio quotidiano? Se i ricoverati in ospedale sono attorno ai duemila, mentre in quel periodo sfioravano i trentamila? Se i focolai, a differenza di prima, vengono individuat­i e circoscrit­ti tempestiva­mente, esattament­e quello che si diceva quando si parlava di «convivenza con il virus» in attesa del vaccino? Se quasi nessuno dei nuovi casi individuat­i nei focolai deve essere portato in ospedale? Perché i custodi dell’ortodossia tecnico-scientific­a, già colpevole di errori madornali in questi mesi, deve attaccare l’eretico Alberto Zangrillo quando dice una cosa che in tutti gli ospedali si può constatare, e cioè che «clinicamen­te» (avverbio obbligator­io, altrimenti si deformano i concetti), il virus è tramortito? La politica della paura ha paura di non far più paura, teme che senza l’assillo del terrore gli italiani si «rilassino» (dicono così) e sentano con meno docilità le inappellab­ili ingiunzion­i di un sinedrio, peraltro sin troppo influente sulle decisioni di una politica tremebonda, oramai incapace di rinunciare al proprio ruolo dominante. Una pausa, per favore, solo una piccola pausa.

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