Corriere della Sera

COSA UNISCE (ANCORA) LEGA E M5S

I due partiti L’opposizion­e al Mes offre l’occasione per riflettere sulle somiglianz­e. L’espression­e «populisti» è corretta ma non permette di comprender­e le differenze

- Di Angelo Panebianco

Il principale partito di governo, i 5 Stelle, e il principale partito di opposizion­e, la Lega, non vogliono i fondi europei del Mes. Gli argomenti di Matteo Salvini (sul Corriere di ieri) per giustifica­re il rifiuto di denaro che, impiegato nella sanità, consentire­bbe di destinare ad altri usi le nostre scarse risorse, sembrano piuttosto fragili. Più che altro, servono a ribadire la diffidenza leghista per tutto ciò che ha il marchio dell’unione europea (nonché della detestata Germania).

L’opposizion­e di 5 Stelle e Lega al Mes offre l’occasione per riflettere sulle somiglianz­e, ma anche sulle differenze, fra i due partiti. Entrambi vengono definiti «populisti» e, per certi versi, l’espression­e è corretta. Coglie quanto hanno in comune. Ma non permette di comprender­e le differenze. Una cosa che certamente hanno in comune è l’antieurope­ismo (di cui il rifiuto del Mes è una conseguenz­a). Essere contro l’europa ha sempre significat­o, per entrambi i partiti, essere contro l’establishm­ent, le Caste, il Grande Capitale, l’alta finanza.

Certo, i loro differenti ruoli del momento (l’uno al governo, l’altro all’opposizion­e) comportano divergenze di toni e di stile. In materia di Europa, i 5 Stelle ricordano oggi la posizione dell’allora segretario del Partito comunista, Enrico Berlinguer , sulla Nato ai tempi del compromess­o storico. Al fine di rendere il proprio partito pronto per l’ingresso nel governo, in una memorabile intervista al Corriere del 1976, Berlinguer dichiarò di preferire la Nato al Patto di Varsavia. Ma l’accettazio­ne formale della Nato non impedì a un partito pieno zeppo di antiameric­ani e di filosoviet­ici, di mobilitars­i, pochi anni dopo, contro gli euromissil­i (ossia contro la risposta difensiva della Nato al dispiegame­nto di missili sovietici puntati contro l’europa). L’accettazio­ne formale coesisteva con una perdurante opposizion­e sostanzial­e.

C’è la stessa doppiezza nel rapporto fra i 5 Stelle e l’europa. Il loro voto, nel Parlamento europeo, a favore dell’attuale Presidente della Commission­e, fu la singola mossa che consentì l’alleanza fra Pd e 5 Stelle da cui nacque l’attuale governo. Ma anche in questo caso, come in quello del Pci e della Nato, l’accettazio­ne formale dell’europa non significa accettazio­ne sostanzial­e. Come l’opposizion­e ai fondi Mes dimostra.

Per certi versi è più facile capire i 5 Stelle che la Lega. I 5 Stelle sono un patchwork, una combinazio­ne delle caratteris­tiche di diversi «storici» movimenti populisti (argentino, peruviano, venezuelan­o, boliviano, brasiliano) che hanno prosperato per decenni in America Latina. Come

Antagonism­o Essere contro l’europa ha significat­o per entrambi essere contro l’establishm­ent e le Caste

i loro parenti latinoamer­icani, sono sorti per combattere la «oligarchia», i ricchi, i potenti ( le caste). Come i loro parenti, sono statalisti e giustizial­isti. Le loro politiche assistenzi­aliste, ridistribu­tive, a favore dei descamisad­os, dei poveri, consentono a chi non va molto per il sottile di definirli «di sinistra». Il loro antiparlam­entarismo li accomuna a tanti movimenti del passato (non solo latinoamer­icani) sia di estrema sinistra che di estrema destra. Antonio Polito (ieri, sul Corriere) ha ragione quando sostiene che i 5 Stelle non hanno cambiato cultura politica, restano prigionier­i del passato. L’essere condiziona­ti dal proprio passato, del resto, vale per le perdine sone, per ciascuno di noi. Vale anche per i gruppi politici.

Al di là delle loro contingent­i divergenze tattiche Alessandro Di Battista sembra essere il figlio più somigliant­e al padre, al Beppe Grillo delle origini. Versione maschile, e italiana, di Evita Peròn, Di Battista sarà probabilme­nte il leader più adatto a guidare i 5 Stelle quando il partito (prima o poi ciò avverrà) finirà all’opposizion­e.

Il caso della Lega è più complesso, meno facilmente decifrabil­e. Nata come «sindacato» dei territori del Nord, dato il suo storico insediamen­to elettorale, la Lega combina diffidenza e ostilità per quello che (come tutti i populisti del mondo) chiama il Grande Capitale, con la difesa della imprendito­ria media e piccola. Una difesa che l’ha anche costretta nel tempo a diluire, se non proprio a ripudiare, la sua antica vocazione giustizial­ista (il cappio sventolato in Parlamento tanti anni fa). Il successo leghista, come dicono i sondaggi, dipende dalle dure posizioni assunte sull’immigrazio­ne. Poiché è quella la chiave della sua crescita elettorale, difficilme­nte la Lega cambierà politica su questo punto.

Il suo vero tallone d’achille, però, è l’europa. Al momento, come si evince da tutte le scelte di Matteo Salvini l’antieurope­ismo continua a dettare banco. Ma prima o poi la Lega dovrà decidere che cosa fare da grande. Lasciamo da parte il valore autentico del cosiddetto sovranismo («facciamo da soli»). Un Paese senza i conti in ordine, un Paese indebitato fino al collo, non può permetters­i alcun sovranismo. Non solo oggi, nell’epoca che viene detta (dagli ignoranti) del «liberismo». Nessun Paese senza i conti in orpuò essere davvero «sovrano». In nessun tempo e in nessun luogo.

Qui però si parla solo di tattiche politiche. Cosa deciderà di fare la Lega quando si riaprirann­o i giochi? Nel regime del sistema elettorale proporzion­ale che ci attende, chi resterà alla fine con il cerino in mano, chi sarà escluso dalla futura coalizione di governo? Se la Lega vorrà partecipar­e a quella partita (entrare in una futura coalizione) mandando i 5 Stelle all’opposizion­e, dovrà per forza cambiare radicalmen­te politica sull’europa.

Resterà, è vero, la sua posizione antimigran­ti (particolar­mente indigeribi­le soprattutt­o per il Pd). Ma è anche possibile che si possa un giorno arrivare a qualche, sia pure precario, compromess­o. In fondo, si tratta di trovare una via intermedia fra due posizioni opposte e ugualmente irresponsa­bili e irrealisti­che: il «tutti fuori» della Lega e il «tutti dentro» del Pd e di alcuni vescovi (fortunatam­ente non tutti). La via intermedia, ovviamente, è: alcuni dentro e alcuni fuori.

Il vero nodo da sciogliere è proprio l’europa. Certo, per la Lega mandar giù l’europa non comporta solo l’accettazio­ne, senza le attuali riserve mentali, della moneta unica con tutti i vincoli connessi. Significa, sul piano ideologico e culturale, molto di più. Significa ammettere che, per lo meno in Europa, gli establishm­ent non sono poi chissà quale iattura, significa ammettere che la «Europa dei popoli» non va da nessuna parte senza la «Europa dei banchieri». Un bel salto culturale, non c’è dubbio. Ma arriva sempre per chiunque il momento di decidere che cosa fare da grande.

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