Vademecum per la ripresa
I punti di forza e di debolezza del sistema Italia Il ruolo positivo dei sindaci. E l’aumento dei risparmi
Bisogna scacciare la «biopaura». E dobbiamo essere consapevoli che la ripresa «viene dal basso». Il rapporto Censis sulla pandemia sottolinea che a ricostruire saranno i soggetti reali e non i Piani a tavolino.
A ricostruire saranno i soggetti reali e non i Piani a tavolino Il rapporto Censis sulla pandemia
Lo sviluppo non dipende dai documenti di pianificazione, anche se ben fatti, ma dall’insieme dei soggetti operanti nella società. Si apre con quest’affermazione «Stress test Italia», una sorta di Rapporto sulla pandemia elaborato dal Censis con il metodo di sempre: prima la fenomenologia e poi le analisi. «Sui nostri tavoli di lavoro si è accumulata una valanga di documenti di previsione o di programma e la parola Piano è tornata di moda ma tutti questi documenti finiscono nell’imbuto di una responsabilità attuativa dello Stato o di qualsiasi altra struttura di intervento pubblico». Lo sviluppo, invece, lo fanno i soggetti reali, quotidiani, della società. Se non ripartono loro — le grandi imprese, le piccole, le aziende di rete, gli enti locali, le autorità regionali, le scuole, il sistema sanitario, il terzo settore, ecc.— non saranno i documenti di Piano a creare nuove dinamiche. Ma perché ciò avvenga è necessario un esame di coscienza, la capacità di guardarsi allo specchio e individuare punti di forza e di debolezza.
La salute
Iniziamo dalla sanità. La pandemia ne ha evidenziato la fragilità per «sforzi di risanamento finanziario che sono andati oltre il necessario» e non hanno tenuto conto di un ripensamento complessivo in grado di rimodulare l’offerta sanitaria. E’ da qui che si può ripartire sapendo che la spesa sanitaria italiana è del 6,5% contro il 7,8% della media Ue, che dal 2008 al 2018 c’è stata una riduzione di medici e di infermieri e hanno fatto capolino i paramedici a partita Iva.
Dalla sanità alla scuola. Il giudizio è netto: nonostante i segnali di vivacità e impegno la scuola italiana si è scoperta non attrezzata per la didattica a distanza (Dad). Ne è convinto il 61% dei dirigenti. In più la Dad ha fatto emergere tutto il lavoro di supporto (irrinunciabile) che le famiglie svolgono in merito allo studio dei propri figli. Ma quest’esperienza ha messo a nudo non solo un gap tecnologico ma anche ritardi nel modello organizzativo, amministrativo e relazionale della scuola. «E’ necessario allora raccogliere senza pregiudizi i risultati negativi e positivi del forzato tirocinio» e trarne le dovute conseguenze.
Gli enti locali sono stati la cinghia di trasmissione tra governo centrale, Regioni e cittadini. Dalla distribuzione della mascherine alla informazioni sanitarie di base. In almeno 100 Comuni i sindaci sono andati oltre con raccolte fondi, supporto psicologico, solidarietà alimentare. Per rilanciare le attività di ristorazione hanno puntato su un diverso uso dello spazio (i dehors), per la mobilità hanno aperto alle bici e ai monopattini. Ma in prospettiva si apre un gigantesco problema di bilancio: per la contrazione delle entrate molti Comuni sono seriamente a rischio dissesto con grave pregiudizio sulla tenuta dei servizi essenziali. E i sindaci intervistati indicano il ripianamento dei bilanci come «il provvedimento più urgente».
Il terzo settore
Il terzo settore, nonostante l’onda d’urto e le perdite finanziarie subite dal 58% delle organizzazioni, sembra avere tenuto. «Per riempire il vuoto di relazione» dovuto al lockdown si è reinventato: il 28,2% degli enti ha sviluppato nuove iniziative rivolte agli alunni, alle persone in difficoltà economica, bambini da 0 a 6 anni, famiglie con disabili. La progettualità del terzo settore non si è dunque arrestata, «anzi porta con sé uno slancio prospettico» che fa leva sulla flessibilità di enti abituati a lavorare in condizioni di precarietà. Ma ovviamente gli operatori segnalano «la necessità di finanziamenti aggiuntivi per ripartire».
Differente è la valutazione Censis sul mondo delle professioni già in stagnazione pre-covid («ripiegamento»). La fenomenologia parla di risorse proprie per fronteggiare le necessità contingenti, ricerca di una nuova normalità per tentare di stabilizzare l’attività professionale, l’impegno a migliorare le competenze digitali, la creazione di nuove opportunità rivedendo format e contenuti dei servizi offerti alla clientela. In questo quadro mezzo milione di professionisti ha usufruito dei bonus governativi ma il terziario oggi necessita di «un salto di scala», l’individuazione di obiettivi generali da perseguire. Se il termine non risultasse lessicalmente improprio si potrebbe parlare addirittura di «una politica industriale delle professioni» fatta, tra l’altro, di applicazione dei principi di sussidiarietà e di digitalizzazione.
Durante la pandemia le famiglie hanno sperimentato un modello di consumo «essenzialista» fatto di cibo, bevande e telecomunicazioni. Cosa ne resterà? Non è detto che continuerà, anzi è facile prevedere nuovi processi di adattamento. Intanto le famiglie hanno messo da parte un risparmio maggiore dell’ordinario: a fine 2020 si prevedono 76 miliardi di risorse aggiuntive a disposizione di 3,3 milioni dipendenti pubblici,16 di pensionati e dei 6,3 milioni dipendenti privati non finiti in Cig. Oltre 25 milioni di persone che hanno incassato di più e speso di meno. Fanno loro da contraltare 13,7 milioni di percettori di reddito con entrate ridimensionate: cassaintegrati, titolari di attività retail, partite Iva e lavoratori in nero. Ma, disegnata la mappa, il Censis sostiene che «è soprattutto sul ritorno della voglia di consumare che si giocano le chance di ripresa». E’ stato così nel primo Miracolo economico e negli anni ‘80 e per riattivare una dinamica analoga la ricetta di De Rita è incentivare/ promuovere «un virtuoso mix di contesto positivo e di soggettivismo improntato alla gioia di vivere», la micro-felicità e il micro-benessere che sommati generano vantaggi per tutti. E’ un errore, dunque, demonizzare shopping e movida perché bisogna scacciare la biopaura da contagio e il terrore del crollo economico.
L’informazione
La pandemia ha avuto una copertura mediatica tempestiva, libera e corretta. Più che nelle fake news (stimate nel 5%) il pericolo lo si rintraccia nella ridondanza informativa, dovuta anche a una comunicazione istituzionale che poco ha fatto per rendere intellegibili i dati forniti giorno per giorno. L’ascolto televisivo è salito del 35%, l’uso di Internet è esploso, più consistente della media generale è stata la consultazione dei maggiori quotidiani online, Skype e Zoom hanno fatto una sorta di salto di specie e l’uso della rete per videochiamate si è decuplicato grazie certamente allo smartworking e la Dad ma anche per il rafforzamento dei legami di relazione. Morale della favola: si è allargato il divario di dotazione tecnologica delle famiglie per cui il Censis sostiene che «in epoca di bonus a pioggia un occhio andrebbe dato ai dispositivi e alla connettività perché Internet è assurto a ruolo di servizio essenziale, al pari delle forniture di elettricità, gas e acqua».
Infine la Chiesa. Il giudizio è drastico: le strutture ecclesiali si sono trovate più impreparate di tutte le altre. La crisi ha generato un profondo sbandamento e la Chiesa italiana non ha elaborato una ricezione consapevole di problemi e sfide. L’obbedienza alle decisioni governative (senza dialogo) non poteva non portare ad effetti di spiazzamento nella vita della comunità religiosa, dalla messa ai sacramenti. Ebbene di fronte a questa realtà il mondo ecclesiale ha avuto vuoti di presenza e di annuncio, coperti dalla presenza pasquale del Pontefice in piazza San Pietro ma la portata iconica di quelle immagini non era trasportabile nella vita ecclesiale ordinaria. Per capire le ragioni di questa amnesia il Censis auspica un approfondimento hic et nunc che coinvolga anche il delicato rapporto tra la Chiesa e la società italiana. «E’ tempo di un esame interiore» che coinvolga il ruolo dei sacerdoti, di cui «dobbiamo onorare il sacrificio ma anche capire come hanno vissuto la solitudine e la mancanza di direttive».
Divario digitale
La chiusura ha evidenziato il divario digitale all’interno di comunità e territori