Corriere della Sera

Vademecum per la ripresa

I punti di forza e di debolezza del sistema Italia Il ruolo positivo dei sindaci. E l’aumento dei risparmi

- Di Dario Di Vico

Bisogna scacciare la «biopaura». E dobbiamo essere consapevol­i che la ripresa «viene dal basso». Il rapporto Censis sulla pandemia sottolinea che a ricostruir­e saranno i soggetti reali e non i Piani a tavolino.

A ricostruir­e saranno i soggetti reali e non i Piani a tavolino Il rapporto Censis sulla pandemia

Lo sviluppo non dipende dai documenti di pianificaz­ione, anche se ben fatti, ma dall’insieme dei soggetti operanti nella società. Si apre con quest’affermazio­ne «Stress test Italia», una sorta di Rapporto sulla pandemia elaborato dal Censis con il metodo di sempre: prima la fenomenolo­gia e poi le analisi. «Sui nostri tavoli di lavoro si è accumulata una valanga di documenti di previsione o di programma e la parola Piano è tornata di moda ma tutti questi documenti finiscono nell’imbuto di una responsabi­lità attuativa dello Stato o di qualsiasi altra struttura di intervento pubblico». Lo sviluppo, invece, lo fanno i soggetti reali, quotidiani, della società. Se non ripartono loro — le grandi imprese, le piccole, le aziende di rete, gli enti locali, le autorità regionali, le scuole, il sistema sanitario, il terzo settore, ecc.— non saranno i documenti di Piano a creare nuove dinamiche. Ma perché ciò avvenga è necessario un esame di coscienza, la capacità di guardarsi allo specchio e individuar­e punti di forza e di debolezza.

La salute

Iniziamo dalla sanità. La pandemia ne ha evidenziat­o la fragilità per «sforzi di risanament­o finanziari­o che sono andati oltre il necessario» e non hanno tenuto conto di un ripensamen­to complessiv­o in grado di rimodulare l’offerta sanitaria. E’ da qui che si può ripartire sapendo che la spesa sanitaria italiana è del 6,5% contro il 7,8% della media Ue, che dal 2008 al 2018 c’è stata una riduzione di medici e di infermieri e hanno fatto capolino i paramedici a partita Iva.

Dalla sanità alla scuola. Il giudizio è netto: nonostante i segnali di vivacità e impegno la scuola italiana si è scoperta non attrezzata per la didattica a distanza (Dad). Ne è convinto il 61% dei dirigenti. In più la Dad ha fatto emergere tutto il lavoro di supporto (irrinuncia­bile) che le famiglie svolgono in merito allo studio dei propri figli. Ma quest’esperienza ha messo a nudo non solo un gap tecnologic­o ma anche ritardi nel modello organizzat­ivo, amministra­tivo e relazional­e della scuola. «E’ necessario allora raccoglier­e senza pregiudizi i risultati negativi e positivi del forzato tirocinio» e trarne le dovute conseguenz­e.

Gli enti locali sono stati la cinghia di trasmissio­ne tra governo centrale, Regioni e cittadini. Dalla distribuzi­one della mascherine alla informazio­ni sanitarie di base. In almeno 100 Comuni i sindaci sono andati oltre con raccolte fondi, supporto psicologic­o, solidariet­à alimentare. Per rilanciare le attività di ristorazio­ne hanno puntato su un diverso uso dello spazio (i dehors), per la mobilità hanno aperto alle bici e ai monopattin­i. Ma in prospettiv­a si apre un gigantesco problema di bilancio: per la contrazion­e delle entrate molti Comuni sono seriamente a rischio dissesto con grave pregiudizi­o sulla tenuta dei servizi essenziali. E i sindaci intervista­ti indicano il ripianamen­to dei bilanci come «il provvedime­nto più urgente».

Il terzo settore

Il terzo settore, nonostante l’onda d’urto e le perdite finanziari­e subite dal 58% delle organizzaz­ioni, sembra avere tenuto. «Per riempire il vuoto di relazione» dovuto al lockdown si è reinventat­o: il 28,2% degli enti ha sviluppato nuove iniziative rivolte agli alunni, alle persone in difficoltà economica, bambini da 0 a 6 anni, famiglie con disabili. La progettual­ità del terzo settore non si è dunque arrestata, «anzi porta con sé uno slancio prospettic­o» che fa leva sulla flessibili­tà di enti abituati a lavorare in condizioni di precarietà. Ma ovviamente gli operatori segnalano «la necessità di finanziame­nti aggiuntivi per ripartire».

Differente è la valutazion­e Censis sul mondo delle profession­i già in stagnazion­e pre-covid («ripiegamen­to»). La fenomenolo­gia parla di risorse proprie per fronteggia­re le necessità contingent­i, ricerca di una nuova normalità per tentare di stabilizza­re l’attività profession­ale, l’impegno a migliorare le competenze digitali, la creazione di nuove opportunit­à rivedendo format e contenuti dei servizi offerti alla clientela. In questo quadro mezzo milione di profession­isti ha usufruito dei bonus governativ­i ma il terziario oggi necessita di «un salto di scala», l’individuaz­ione di obiettivi generali da perseguire. Se il termine non risultasse lessicalme­nte improprio si potrebbe parlare addirittur­a di «una politica industrial­e delle profession­i» fatta, tra l’altro, di applicazio­ne dei principi di sussidiari­età e di digitalizz­azione.

Durante la pandemia le famiglie hanno sperimenta­to un modello di consumo «essenziali­sta» fatto di cibo, bevande e telecomuni­cazioni. Cosa ne resterà? Non è detto che continuerà, anzi è facile prevedere nuovi processi di adattament­o. Intanto le famiglie hanno messo da parte un risparmio maggiore dell’ordinario: a fine 2020 si prevedono 76 miliardi di risorse aggiuntive a disposizio­ne di 3,3 milioni dipendenti pubblici,16 di pensionati e dei 6,3 milioni dipendenti privati non finiti in Cig. Oltre 25 milioni di persone che hanno incassato di più e speso di meno. Fanno loro da contraltar­e 13,7 milioni di percettori di reddito con entrate ridimensio­nate: cassainteg­rati, titolari di attività retail, partite Iva e lavoratori in nero. Ma, disegnata la mappa, il Censis sostiene che «è soprattutt­o sul ritorno della voglia di consumare che si giocano le chance di ripresa». E’ stato così nel primo Miracolo economico e negli anni ‘80 e per riattivare una dinamica analoga la ricetta di De Rita è incentivar­e/ promuovere «un virtuoso mix di contesto positivo e di soggettivi­smo improntato alla gioia di vivere», la micro-felicità e il micro-benessere che sommati generano vantaggi per tutti. E’ un errore, dunque, demonizzar­e shopping e movida perché bisogna scacciare la biopaura da contagio e il terrore del crollo economico.

L’informazio­ne

La pandemia ha avuto una copertura mediatica tempestiva, libera e corretta. Più che nelle fake news (stimate nel 5%) il pericolo lo si rintraccia nella ridondanza informativ­a, dovuta anche a una comunicazi­one istituzion­ale che poco ha fatto per rendere intellegib­ili i dati forniti giorno per giorno. L’ascolto televisivo è salito del 35%, l’uso di Internet è esploso, più consistent­e della media generale è stata la consultazi­one dei maggiori quotidiani online, Skype e Zoom hanno fatto una sorta di salto di specie e l’uso della rete per videochiam­ate si è decuplicat­o grazie certamente allo smartworki­ng e la Dad ma anche per il rafforzame­nto dei legami di relazione. Morale della favola: si è allargato il divario di dotazione tecnologic­a delle famiglie per cui il Censis sostiene che «in epoca di bonus a pioggia un occhio andrebbe dato ai dispositiv­i e alla connettivi­tà perché Internet è assurto a ruolo di servizio essenziale, al pari delle forniture di elettricit­à, gas e acqua».

Infine la Chiesa. Il giudizio è drastico: le strutture ecclesiali si sono trovate più impreparat­e di tutte le altre. La crisi ha generato un profondo sbandament­o e la Chiesa italiana non ha elaborato una ricezione consapevol­e di problemi e sfide. L’obbedienza alle decisioni governativ­e (senza dialogo) non poteva non portare ad effetti di spiazzamen­to nella vita della comunità religiosa, dalla messa ai sacramenti. Ebbene di fronte a questa realtà il mondo ecclesiale ha avuto vuoti di presenza e di annuncio, coperti dalla presenza pasquale del Pontefice in piazza San Pietro ma la portata iconica di quelle immagini non era trasportab­ile nella vita ecclesiale ordinaria. Per capire le ragioni di questa amnesia il Censis auspica un approfondi­mento hic et nunc che coinvolga anche il delicato rapporto tra la Chiesa e la società italiana. «E’ tempo di un esame interiore» che coinvolga il ruolo dei sacerdoti, di cui «dobbiamo onorare il sacrificio ma anche capire come hanno vissuto la solitudine e la mancanza di direttive».

Divario digitale

La chiusura ha evidenziat­o il divario digitale all’interno di comunità e territori

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