In nome del buon nome
Poiché il Covid ci ha resi più buoni, appena ho saputo che il consiglio comunale di Pescara aveva negato solidarietà a un ragazzo mandato in ospedale con la mascella a pezzi da una banda di balordi mentre camminava mano nella mano sul lungomare con un’altra persona del suo sesso, istintivamente ho pensato a una fake news. Chi mai, nell’anno della pandemia affratellante e degli abbattitori di statue retrograde, potrebbe sottrarsi a un gesto tanto semplice da apparire scontato, quasi banale? Appurato che la notizia era vera, e che la maggioranza destrorsa del consiglio si era rifiutata finanche di costituirsi parte civile nel processo, ho letto con sincero interesse le spiegazioni del sindaco, immaginandolo in possesso di elementi ignoti ai più, magari che la mascella del ferito era andata volontariamente a sbattere contro le nocche di alcuni passanti.
Per fortuna, e questo mi ha molto rasserenato, il sindaco ha riconosciuto che pestare a sangue quel ragazzo era stato piuttosto disdicevole. Ma poi ha aggiunto un guizzo che mi ha spiazzato: sottolineare pubblicamente l’accaduto, ha detto, infangherebbe il buon nome della città. Se dunque ho capito bene, per la maggioranza che governa Pescara, schierare Pescara contro chi picchia i gay equivale a riconoscere che a Pescara vi siano persone allergiche ai gay. E poiché questo configurerebbe un insulto al buon nome di Pescara, è molto meglio far credere che allergico ai gay sia soltanto il consiglio comunale.