LO SBILANCIAMENTO DI FORZE NEL CAMPO DELLE IMPRESE
Nel suo intervento agli Stati Generali dell’economia il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha chiesto al governo di sostenere la liquidità delle imprese e di pagare l’arretrato dello Stato verso di loro, con «le stesse regole che si applicano ai privati»; oggi, però, sono i grandi gruppi a comportarsi, con i fornitori, come lo Stato con i suoi creditori.
Le imprese non sono un blocco sociale coeso; gli interessi dei grandi sono lontani da quelli dei medio-piccoli. Questi sono in Italia la gran maggioranza; la loro struttura finanziaria poggia sul credito bancario ben più che sui mezzi dei soci. Nel manifatturiero, una miriade di tali imprese produce sottoinsiemi o componenti, su progetti propri o del committente.
I rapporti di forza fra chi fattura decine di miliardi e una medio-piccola impresa che non arriva a dieci milioni, sono in tutto simili a quelli fra le grandi utility e le famiglie. Perciò ogni Paese avanzato ha norme per proteggere il contraente debole dagli abusi delle prime; perciò l’italia ha una legge sulla sub-fornitura che obbliga a saldare le fatture entro sessanta giorni, prorogabili in dati casi a novanta. Per ritardi rispetto al termine suddetto, sono previste forti penali, a tassi di mercato maggiorati dell’8% annuo.
Tutto bene dunque? Niente affatto, perché la legge non ha denti; questi, e ben affilati, li hanno i committenti. Essi non esitano a scrivere nei contratti, contra legem, che il pagamento avverrà a 120 o più giorni. Una volta scaduto il termine, inizia un tira e molla per arrivare all’incasso. L’impresa non sa quando arriveranno i soldi e fa piani finanziari appesi per aria; ciò non la spinge certo agli investimenti necessari per ripartire.
Altre angherie sono poi in agguato, come la frequente richiesta che il fornitore si dia carico di aspetti non previsti dal committente nelle specifiche, ma necessari per ultimare il prodotto: insomma, «il tuo prezzo deve comprendere quel che non ti ho chiesto ma avrei potuto chiederti».
Se la legge è sdentata, l’impresa può solo far causa al committente, ma non lo farà. La soddisfazione di vincerla, dopo anni di diatribe, costerebbe l’immediata perdita del lavoro, con l’arrivo di un altro fornitore che avrà subito chiare le regole d’ingaggio.
Non è tema tecnico-finanziario, bensì altamente politico. Per la debolezza delle medio-piccole, i loro dipendenti
Simmetria I grandi gruppi si comportano, con i fornitori, come lo Stato con i suoi creditori
sono pagati molto meno che nei grandi gruppi. Strozzando quelle minori le grandi, incluse le estere che a casa loro le leggi le applicano, imbellettano i bilanci; ne beneficiano, con il corso delle azioni, i bonus dei capi. Questi così soffiano sul fuoco delle disuguaglianze mentre invocano politiche atte a superarla. Per chi scrive, le imprese minori devono accorparsi formando complessi dotati della stazza necessaria a investire e crescere con profitto; arrivarci portando all’asfissia i piccoli sarebbe però iniquo e inaccettabile.
Conseguenze A causa della debolezza delle medio-piccole, i loro dipendenti sono pagati molto meno
Come rimediare allo sbilanciamento di forze, che nuoce all’economia e alla società tutta? Anzitutto, dando denti alla legge; se si vuole, la fatturazione elettronica e il «Cassetto fiscale» che ogni contribuente ha, sono strumenti bell’e pronti atti a risarcire in automatico le vittime dei ritardi. Vedremo se qualche parlamentare vorrà proporre le necessarie modifiche alla legge.
Per ora, bisogna almeno esigere che Sindaci e revisori accertino, come devono, l’osservanza della legge da parte dei gruppi controllati o revisionati. Si resta in attesa che un certo mondo, sempre lì a donarci gocce di pensosa saggezza, si riposi almeno un po’; prima di progettare ambiziosi modelli di sviluppo, tutti quanti ricevono aiuti statali, da Fca in giù, si impegnino (almeno!) al rispetto della legge; perché una cosa è chiara, italiane o estere, «Così fan (quasi) tutte».