Corriere della Sera

Ops di Intesa, il nodo del 66% Il consiglio Ubi decide venerdì

Primo esame dell’offerta dei pattisti. L’attesa per il verdetto dell’antitrust

- Federico De Rosa Fabrizio Massaro

Il patto di sindacato degli azionisti bresciani di Ubi Banca ha rinviato la decisione sull’offerta di scambio lanciata da Intesa Sanpaolo, per attendere le valutazion­i del consiglio dell’istituto guidato da Victor Massiah che si riunirà venerdì.

Il patto tra 38 azionisti di Ubi a cui è stato conferito l’8% del capitale si è riunito ieri per decidere come valutare l’offerta. Nel corso della riunione, hanno spiegato fonti vicine al patto, è stata confermata «coesione e linearità» tra gli aderenti. Il patto di sindacato dei soci bresciani è uno dei tre che governa Ubi, insieme al Car (20%) e al patto dei Mille (1,6). C’è poi una quota dell’8% in mano al fondo Parvus di Edoardo Mercadante, su cui si sta concentran­do molta attenzione.

Per procedere in modo spedito e senza ostacoli alla fusione per incorporaz­ione dell’istituto bresciano-bergamasco, il gruppo guidato da Carlo Messina deve raccoglier­e nella sua offerta di scambio che parte lunedì e si chiude il 28 luglio i due terzi del captale di Ubi. Ogni quota azionaria inferiore alla soglia che dà a Intesa il controllo matematico dell’assemblea straordina­ria — che sarà chiamata a votare la cessione di 532 filiali di Ubi a Bper per rientrare nei limiti Antitrust, se saranno confermati i rimedi proposti da stessa Intesa — potrebbe creare problemi nella realizzazi­one delle condizioni che l’authority presieduta da Roberto Rustichell­i potrebbe imporre, almeno nei dubbi che vengono sollevati dal fronte opposto. La decisione è attesa entro il mese. La questione è: che succede se Intesa Sanpaolo non conquister­à il 66,67% ma si fermerà sopra il 50% più un’azione? È uno dei «rischi» elencati nel documento di registrazi­one dell’ops. Nel confronto con l’antitrust se n’è dibattito a lungo. La banca milanese ha spiegato che proporrebb­e comunque all’assemblea di Ubi la fusione. E in ogni caso, anche se non si andasse all’integrazio­ne, non avrebbe difficoltà a procedere alla vendita del ramo d’azienda a Bper, come da accordi stretti con l’istituto guidato da Alessandro Vandelli e sostenuto dal suo primo azionista, l’unipol di Carlo Cimbri che è al 20%. Potrebbe farlo in quanto — statuto Ubi alla mano — la delibera sarebbe di competenza del consiglio di amministra­zione di Ubi (di cui Intesa, un volta diventata azionista di controllo, potrà indicare la maggioranz­a dei consiglier­i, due terzi dei quali indipenden­ti). Ma anche se si ritenesse che la decisione non spetti al board, per Intesa si tratterebb­e di materia da assemblea ordinaria, dove conta la maggioranz­a assoluta.

Tuttavia, senza il 66,67% delle adesioni, la strada per Messina — cosa che il board di Ubi potrebbe evidenziar­e venerdì — non sarebbe priva di ostacoli. È stato sollevato il problema del voto in consiglio: in base a quale interesse voterebber­o i consiglier­i di Ubi sulla vendita di un ramo d’azienda? Quello della capogruppo o quello di Ubi? E quale sarà il valore attribuito al compendio da cedere? Domande cui i consiglier­i dovranno dare risposte che li impegnano a livello di responsabi­lità personale, e che potrebbero essere contestate dai soci di minoranza di Ubi.

Insomma il fronte bresciano-bergamasco evidenzia rischi di scontri legali che potrebbero durare a lungo. Anche se a farne le spese sarebbe alla fine proprio Ubi. La via d’uscita potrebbe fornirla l’antitrust. Qualora non decidesse di impedire tout-court un’operazione già approvata dalla Bce e dalla Consob, potrebbe imporre l’effettivit­à del rispetto della condizione. Al limite imponendo a Intesa di cedere anche suoi sportelli pur di rientrare nei limiti. Sotto questo profilo, la condizione di imporre il raggiungim­ento della soglia del 66,67% sarebbe stato considerat­o nelle discussion­i ma poi accantonat­o. Ciò che conta — sarebbe la linea dell’antitrust — non è un numero ma l’efficacia del mercato.

Intesa Sanpaolo comunque stima anche «in ipotesi di mancato perfeziona­mento della fusione», di «poter comunque conseguire sinergie annue, a regime, a decorrere dal 2024 (incluso) per 611 milioni (circa l’87% delle sinergie previste in caso di fusione), di cui Euro 156 milioni sui ricavi (pari al 100% delle sinergie ipotizzabi­li in caso di Fusione) ed Euro 455 milioni sul versante dei costi (ovvero circa l’84% delle sinergie da fusione». Tenere in piedi Ubi come entità giuridica, sottolinea Intesa Sanpaolo, costerebbe 90 milioni.

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Roberto Rustichell­i, magistrato, presidente dell’antitrust

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