Dio e il gioco della creta, così Adamo è un «paciugo»
I sogni, i luoghi di un’esistenza, le profondità della vita quotidiana nella raccolta di Marco Garzonio «Beato è chi non si arrende» (Àncora editrice)
Il paciugo d’argilla. E Lui, con la maiuscola, «ginocchioni al suolo, compreso, intento a modellare, rapito dal giocare». Come un bambino. È Dio. «Per un attimo sospeso, il dubbio se tenerlo così come si era affacciato lo strano coso in quel momento, oppure continuare a divertirsi al gioco della creta lavorata, disfatta e poi appallottolata». Un istante. «Poi la decisione: zac, il taglio, il distacco». Il Signore torna il Signore: «Va’ Adam». L’incanto si vela di nostalgia: «Io resto qui, solo. Il Paradiso è perduto per me quanto per voi». Ed è da ricostruire.
Il Paciugo di Dio apre la nuova raccolta poetica di Marco Garzonio, Beato è chi non si arrende. Immagini passate, sogni presenti, consegne future: l’autore, editorialista del «Corriere» e psicologo, lo dedica alla sua generazione, nata con la guerra, perché continui «a promuovere la memoria, a stupirsi, a sognare».
Mentre il virus minaccia genitori e nonni, il libro cristallizza l’obiettivo in una citazione di Albert Camus: «Ogni generazione si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: impedire che il mondo si distrugga». Garzonio si muove tra i luoghi di una vita: Milano («Itaca ambrosiana»), la Terra Santa («bramata, contesa, negletta») cara a Carlo Maria Martini di cui, cronista e biografo, ha seguito l’episcopato. La prefazione è dell’attrice Lucilla Giagnoni. «Che sollievo — scrive — essersi trovata davanti una persona “normale”: seria, sensata, efficiente, che gestisce casa, famiglia e professione. Ma, sotto a questa normalità, il poeta. Un Poeta è uno che si cala nel pozzo perché ha una gran sete, un desiderio di profondità». E il pozzo «per Marco si spalanca nella quotidianità del tram, del terrazzino, della passeggiata». Nel paciugo, per sognare e ricordare.