Violoncellista in fuga scoperto da Einaudi
Redi Hasa lasciò l’albania in modo rocambolesco. E la sua avventura è finita nell’album «Stolen»
Stolen, Rubato, è il titolo del debutto discografico di Redi Hasa per Decca, e racconta la sua storia. Hasa fuggì dall’albania con una valigia e uno strano contenitore preparato alla bell’è meglio da sua madre: conteneva un violoncello. Redi oggi ha 42 anni, nel 1998 lasciò il suo Paese in modo rocambolesco.
«L’anno prima era cominciata la guerra civile, le ondate di migliaia di migranti che attraccavano in Puglia erano cominciate agli inizi degli anni 90. La gente si ammazzava per strada, uscivi per prendere un caffè e non sapevi se tornavi a casa. Un’anarchia totale. Venivamo da 45 anni di dittatura, non si poteva sapere cosa c’era dall’altra parte del mare, la musica occidentale era proibita, se la ascoltavi andavi in prigione, noi di nascosto vedevamo i programmi Rai».
Come fece a lasciare il paese? «Riuscii ad avere un visto turistico con cui raggiunsi mio fratello, pianista dell’opera di Tirana, che già si era stabilito in Puglia. Da più di vent’anni vivo nel vostro Paese». La sua gioventù in Albania: «Eravamo poveri. Non c’era luce né cibo, vedevo mio padre all’alba andare in bicicletta, in una busta sul braccio aveva il pane, sull’altro il kalashnikov. E mio padre era un artista, un pacifista, era ballerino e coreografo, mentre mia madre mi insegnava a suonare il violoncello. Quello strumento lo usava lei con i suoi studenti ma apparteneva al Conservatorio. Io lo rubai. Mia madre fu minacciata, rischiò di perdere il lavoro all’accademia, dovette pagare una multa e acquistarne un altro».
Stolen è la storia della sua vita. Suona e compone. «Non saprei definire che genere è, ci sono la musica classica e elettronica, e i profumi della tradizione albanese, dove si usano molto i clarinetti, poi zampogne, grancasse con le bacchette. Mi piace contaminare. Racconto me stesso. C’è la sensazione di sentire l’odore dei pini, la montagna di fronte al luogo in cui sono nato. È la montagna che in certe giornate chiare si scorge da Otranto: un pezzo del cd si intitola Il silenzio della montagna». In un altro brano, Onda, Hasa descrive in musica il suo sbarco avventuroso sulla costa italiana: «Il mare era forza 7, sembrava impossibile andare dall’altra parte dell’adriatico, il capitano aveva lasciato il microfono acceso e noi passeggeri sentivamo che diceva: abbiamo bruciato un motore. Eravamo nel panico.
Sbarcati, i poliziotti parlavano in dialetto barese così stretto che pensavo di essere arrivato in un altro posto. Glielo chiesi, si misero a ridere». E poi Autumn Escape, dove racconta in musica la prima richiesta di soccorso degli albanesi nelle ambasciate italiana e americana di Tirana, prima della fuga in massa verso Bari e Brindisi.
Il lieto fine fu quando incontrò Robert Plant, la storica voce dei Led Zeppelin che lo invitò a suonare nel suo album Carry Fire («avevo tutti i dischi del suo gruppo ma era lui che mi faceva continue domande sulla musica albanese») e Ludovico Einaudi, con cui era in tournée quando è scoppiato il virus: «Tornati dall’australia, eravamo in procinto di partire per la Cina, ma… In comune, Plant e Einaudi, hanno il rispetto di altre culture e la curiosità».
Redi, che suono ha il suo violoncello? «Ha tanti bassi, potenti, che sento vibrare nella pancia e mi riportano alla mia terra d’origine».