Inzaghi e l’ossessione di battere record «Così è nata l’impresa del Benevento»
I record li ha sul cellulare, in un file. Ci sono tutti i primati del campionato di serie B. Li consulta, quindi li inoltra sul gruppo whatsapp del Benevento: «E questi non li battiamo?». Filippo Inzaghi alza sempre l’asticella, è il suo modo per evitare che i giocatori si rilassino. Chissà se lo avrà fatto anche ieri, mentre la squadra e la città erano ancora stordite dalla festa promozione. Mancano 7 giornate alla fine del campionato e solo una volta un club era riuscito a guadagnarsi la A con tanto anticipo: l’ascoli allenato da Mimmo Renna, 42 anni fa.
Un record, appunto. Un altro. Inzaghi li ha sempre amati e inseguiti. Ancora oggi quasi non si fa una ragione dell’arrivo sulla scena mondiale di Messi e Ronaldo, che hanno attraversato la Champions segnando valanghe di gol: «Per colpa loro sembra che io e Raul non abbiamo fatto quasi niente» scherza. In realtà lui ha fatto moltissimo, è il calciatore italiano che ha realizzato più reti in Champions League, ad esempio. Ma forse il primato di cui va più orgoglioso è un altro: è l’unico ad avere fatto gol in tutte le competizioni: dalla Coppa Italia di C, che ha frequentato con il Leffe, fino alla Coppa del Mondo.
Quando era un attaccante,
Inzaghi non si stancava mai di segnare — è arrivato oltre quota 300 gol — e per riuscirci non risparmiava alcuno sforzo. Ragazze e discoteche? Ovviamente, ma solo fino al mercoledì perché poi c’era da preparare la partita. Alcol? Giammai. E quando ancora la tecnologia non consentiva tutto ciò che permette oggi, lui con il videoregistratore studiava i difensori che avrebbe affrontato nella gara suc
cessiva. Fabio Capello un giorno ha detto che avrebbero dovuto far studiare a tutti gli aspiranti attaccanti i movimenti di Inzaghi in area: «Sembra che abbia fortuna a trovarsi dove va la palla, ma non è così: niente nel suo modo di giocare è casuale». È curioso, semmai, che oggi il Benevento abbia sì il migliore attacco — 56 gol in 31 partite — ma la sua forza è soprattutto la solidità difensiva: ha subito appena 15 reti, meno di una ogni due gare, e 4 le ha prese tutte assieme, nell’unica sconfitta della stagione, a Pescara. In vista della serie A, la società sta cercando di rafforzarsi: è già arrivato Remy, ex Chelsea, e si trattano Schurrle,
Sturridge, Gervinho, Zarate e Glik.
Più del calcio, per Inzaghi conta solo la famiglia. Ha un legame fortissimo con i genitori ancora oggi che di anni ne ha quasi 47: non c’è giorno in cui non li chiami almeno tre volte. E ha una specie di adorazione, ricambiata, per il fratello Simone: «Ci sentiamo tutti i giorni, parliamo dei nipoti e poi, ovviamente, di pallone». Solo una volta hanno faticato a chiamarsi. Era il 14 maggio 2000, il giorno della famosa pioggia di Perugia, ultima giornata di campionato: la Juve, sconfitta dopo una lunghissima interruzione a causa del diluvio, consegnò lo scudetto alla Lazio. Pippo era il centravanti bianconero, Simone biancoceleste. Nessuno dei due aveva il coraggio di comporre il numero, poi toccò al maggiore fare il passo: «Ehi Mone, come va?». Lunedì notte la telefonata è partita da Torino, dove l’allenatore della Lazio era in ritiro: «Te la sei meritata, ma non pensare di battermi l’anno prossimo».
La sfida col fratello
Simone a Pippo: «Bravo ma l’anno prossimo non batterai la mia Lazio in serie A»